
Halloween all’amatriciana
Come tutti sanno, l’Italia è un Paese privo di tradizioni, di feste, di riti. Qualcuno ha pensato bene di rimediare all’imbarazzante pecca, e da qualche anno ha importato da noi quella cosa kitsch & trash che è Halloween. Kitsch & trash non in sé, in Irlanda o sull’Isle of Man va benissimo: orrenda quando è declinata all’arrembaggio, in un Paese dove le zucche hanno sempre significato tortelli, risotti, fiori di zucca fritti, e al massimo la carrozza di Cenerentola.
Non contenti dei tortelli, sciami di shampiste, buttafuori, tronisti, aspiranti veline di Campobasso Tivvù, updated provinciali di terre dove fino a dieci anni fa si faceva la processione con la Madonna e il parroco, si trasformano in streghe, vampiri, folletti, elfi, spiritelli, creature del bosco e della notte, si gettano addosso gotiche palandrane e maschere da fantasmi su corpi destinati al pigiama, si calcano il cappuccio (come a Milano vien purtroppo chiamato il cappuccino), non vedono più colore che non sia l’arancione, cianciano in gaelico ma alla fine quel che vien fuori sono gli accenti della Ciociaria, del Salento, del Varesotto. Non hanno la minima idea di cosa voglia dire “hallow” (se per questo, non hanno la minima idea di cosa voglia dire “good evening”), ma sono più celtici, e soprattutto più celtiche, della progenie di Bossi. Chiedono “dolcetto o scherzetto” in un modo che fa pensare al Dolcetto che si trinca: in Lombardia con una bella “e” aperta e lasca.
Non sappiamo più cosa sia quella dolcissima festa, dal dolcissimo nome, chiamata Ognissanti. Non importa più niente a nessuno. Non abbiamo più una cultura. Non più un’Italia. Niente. Vai con la zucca traforata. Così noi siamo, lungo tutto l’arco costituzionale: un Paese di sfigati che celebrano l’Halloween de noantri.