
Le lacrime del marmo
Quella che vedete qui sopra, e che nel 2014 ha dominato il profilo di Times Square, è una delle foto più celebri mai scattate, e forse la più straordinaria foto di Mapplethorpe. Si intitola Ken Moody and Robert Sherman, risale al 1984. Ken e Robert erano due modelli, nonché amanti, del fotografo. Non si erano mai incontrati, e nessuno di loro aveva mai parlato con un altro essere umano cui fossero caduti da bambino, come a loro accadde, tutti i capelli.
Ken e Robert sono sopravvissuti a Mapplethorpe, morto di Aids nel 1989. Il bellissimo documentario Mapplethorpe. Look at the Pictures (uscito 15 giorni fa in Italia) li riunisce e li fa parlare della foto. E cosa dicono? Dicono che tutta la letteratura che si è fatta su quella foto è campata per aria; a cominciare dalla dualità nero con occhi chiusi (inconscio, psicologia del profondo), bianco con occhi aperti (pensiero razionale, autoconsapevolezza). Si sono messi così non per chissà quale idea, ma perché uno aveva il collo più corto dell’altro, e la posa riusciva più comoda. Il resto sono parole al vento.
Hanno ragione? Avrebbero ragione se qualsiasi testo (e la fotografia è un testo) dovesse esser letto solo a partire dalle condizioni pratiche che l’hanno propiziato: escludendo dunque l’influsso del tempo, il sistema estetico e formale di riferimento (che in ogni autore agisce indipendentemente dall’intenzione), la trasformazione del testo sotto l’opera invisibile ma efficace della lettura. Oggi la foto di Mapplethorpe è già altro da quel che era nel 1984. Fra trent’anni sarà ancora altro. Che uno avesse il collo più corto è poi il tocco del caso, quello che propizia i capolavori.
Intanto, io la guardo così: come un ideale di perfezione statuaria che Mapplethorpe, sacerdote della Forma, ha raggiunto perché scappasse ancora, perché si rigenerasse in un traguardo più lontano, inattingibile. Per questo il marmo canoviano di quelle due teste (esattamente come nelle serie dei fiori) stilla lacrime.