Francesco Maria Colombo

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Noi, i perdenti chic - Francesco Maria Colombo
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Noi, i perdenti chic

Per tutto il giorno ho pensato: «Com’è bello non aver niente da dire sulla vittoria di Trump», «Com’è bello restare in silenzio se ha vinto Trump». Poi però ho letto tanti commenti su Facebook e mi vien voglia di fare anch’io la mia brava chiacchiera da bar: non su Trump del quale non so nulla se non che ha un profilo, fisico e politico, caricaturale; ma sui commenti stessi.

Le reazioni sono quasi tutte eguali, perché io frequento quasi tutte persone che vivono in ambienti privilegiati, hanno titoli di studio, vanno a vedere le mostre, mangiano e bevono bene sapendo scegliere i vini, dànno per scontato che le minoranze abbiano gli stessi diritti degli altri, qualche libro l’hanno letto, e talvolta distinguono il Si bemolle dal Si naturale. E tutti noi abbiamo pensato la stessa cosa: è una sciagura, inizia un periodo buio. Tutti noi, e naturalmente anch’io.

E questo è il segno che non abbiamo capito niente, che tutti i nostri studi, i nostri cocktail quintessenziati, i nostri weekend a Taormina o a Madonna di Campiglio, i nostri film d’essai, i nostri Papillons eccetera eccetera eccetera, non ci hanno resi più capaci di decrittare il reale, di comunicare efficacemente nel reale, di intervenire sul reale. Siamo degli snob: a partire da me. Pensiamo che il mondo debba strutturarsi sugli stessi nostri parametri, debba pensarla come noi. E chi non la pensa come noi è un paria ed è un mentecatto, e figuriamoci se possiamo scendere al suo livello. E per questo perdiamo, e per questo ha un senso il fatto che abbiamo perso.

Mi fa ridere amaramente leggere quello che scrivono oggi in molti: «Il suffragio universale è sbagliato, dobbiamo abolirlo». E chi lo abolisce? E chi sceglie chi debba abolirlo? E’ perché hanno (abbiamo) letto più libri? E’ perché sono (siamo) più smart? Ancora una volta noi happy (o, adesso, unhappy) few non siamo capaci di rapportarci con la realtà, e blateriamo a vuoto: il nostro sdegno è vòlto in endecasillabi dei quali non frega niente a nessuno.

Intanto chi ha letto meno libri e abita in case meno belle e usa parole meno ricercate delle nostre, ha fatto capire che come ha governato il presidente uscente non andava bene, che non li ha fatti star meglio, che non ha risolto i loro problemi, e che la candidata Hillary non sarebbe andata meglio di lui. E perché costoro non dovrebbero dire la loro? E perché le loro esigenze debbono contare meno delle nostre? Hanno perfettamente diritto di votare, e di votare chi sa comunicare meglio. Anch’io so che Hillary sarebbe stata preferibile: ma non siamo riusciti (tutti, a partire dai grandi giornali della sinistra americana, che nello Iowa non leggono) a fargli arrivare il messaggio. Siamo noi, ad avere sbagliato tutto.

Parliamo, parliamo, parliamo, ma non siamo capaci di usare parole che vadano più in là dei nostri compagni di salotto, o del nostro salottino agghindato che è Facebook. E intanto le donne votano uno che ha mostrato nient’altro che disprezzo per le donne («ogni donna ama un fascista», non l’ho scritto io, l’ha scritto Sylvia Plath). Ah, noi perdenti chic…