Francesco Maria Colombo

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Chi dei due è il genio? - Francesco Maria Colombo
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Chi dei due è il genio?

Lʼaltra sera ho scambiato una conversazione con una ragazza bella, bionda, con un sorriso luminoso, brillante, profonda, vivace. A un certo punto, mi ha raccontato di accingersi a leggere la biografia di Lang Lang e ad ascoltarlo suonare. Se della ragazza dal sorriso luminoso non mi fosse importato nulla, le avrei detto “ah bene, brava, che scelta interessante, come mi fa piacere che ascolti vera musica” e così via; ma siccome invece la stimo molto, ho fatto il saccente e le ho detto di lasciar perdere. Ed ecco il perché.

La cosiddetta musica classica (diciamo la musica dʼarte da Palestrina a Henze) è una delle espressioni più alte, specifiche, coerenti e raffinate in cui lʼOccidente ha rispecchiato se stesso, dando un senso e un lessico alla propria identità. LʼEuropa senza Mozart sarebbe una terra desolata e brutale. E poiché Mozart interessa a sempre meno persone, e con lʼavanzata di culture non solo diverse ma ostili allʼumanesimo occidentale finirà per non interessare più a nessuno, fra poco, molto poco, questa terra desolata e brutale sarà lʼunica che accoglierà lʼuomo abbrutito. La musica classica è anche un business, un business tremendamente in crisi per infiniti motivi (non solo per il crollo di lunghe tradizioni e il vuoto educativo, ma perché viviamo in un mondo dove la concentrazione sullo stesso oggetto per più di 10 secondi è diventata un lusso e una disabitudine: e alla musica classica serve tempo, molto tempo: una Sinfonia di Mahler o di Bruckner richiede unʼora e mezza di ascolto concentrato): cosa si è fatto? Come in tutte le civiltà agli sgoccioli si sono creati gli specchietti per le allodole, i feticci che danno lʼillusione della vita. Si vuole “portare la musica ai giovani”, “portare la musica a tutti”, “rendere la musica accessibile a tutti” e altri luoghi comuni che Sir Francis Bacon avrebbe chiamato idola theatri: sono stati selezionati, in una gran lotteria universale, alcuni musicisti con tutte le caratteristiche per piacere al “grande pubblico” (altra espressione-feticcio), si è mischiato un poʼ di classico, un poʼ di pop, un poʼ di lounge, un poʼ di ethno, un poʼ di tutte le salse e le marinate possibili, lo si è chiamato crossover, e si è cercato di tener viva la “musica classica” con un accanimento terapeutico che sgomenterebbe persino la senatrice Binetti. Una volta ero in un lussuoso ristorante di Riga, in Lettonia: mentre mi accingevo a intingere il filetto di renna nella composta di ribes si riversò a palate il solito guano rockettaro dagli altoparlanti. Dopo un poʼ di sopportazione chiesi al cameriere di farla finita. Un consulto con il caposala diede luogo al confortante compromesso di diffondere musica classica, “perché in silenzio non si può stare, i clienti non vogliono il silenzio” (p.s. una situazione simile cʼè in un romanzo di Kundera). Io faccio il musicista e detesto sentire la musica classica se non scelgo di farlo, ma abbozzai e tornai alla renna. Dagli altoparlanti sgorgò, prepotente e implacabile, la voce di Bocelli che cantava qualcosa come “Con te io partirò”. Nooooo, ridatemi il rock piuttosto, tutto ma non Bocelli!

Ecco: per musica classica oggi si intendono non i Quartetti di Haydn ma “Con te io partirò” o altre cose “fra genere e genere”, come il concerto di Capodanno a Vienna (musica sublime, naturalmente: ma chi più afferra il profumo della civiltà di dove è sorta? non resta che il guscio vuoto dellʼintrattenimento per turisti) o una grigia zona di confine con la melassa New Age che va moltissimo (sì, oggi esiste persino un Allevi), o… e qui si arriva a Lang Lang, che è un musicista ferratissimo, con un repertorio di pezzi difficilissimi padroneggiati bene, ma che è stato eletto a divo non tanto per come suona, ma per una serie di caratteristiche di superficie. Eʼ cinese (non a caso il più celebre pianista contemporaneo viene dalla Cina e il più celebre soprano, Anna Netrebko, è una bella ragazza russa che in un video canta in un gommone nel bel mezzo di una piscina: civiltà che avanzano…), ha i capelli tagliati a spazzola e fissati col gel, indossa giacchette da avanspettacolo con lustrini e paillettes (ah, dolci memorie di Valentino Liberace, con la sua adorabile ingenuità!), frequenta il jet set, e ha una biografia fatta apposta per renderlo una leggenda contemporanea, a cominciare dal fatto che ha scoperto la musica classica guardando Tom & Jerry. (La letteratura arriva sempre un poʼ prima della musica: Lang Lang è in musica ciò che, quindici anni fa, era Banana Yoshimoto in letteratura). Chi è il pianista del “popolo dellʼipod o dellʼipad” (come dicono i morenti giornali di cartaccia)? Lang Lang, naturalmente, colui che sta “portando la musica ai giovani” (Allevi segue a ruota, e teniamoci caro Lang Lang).

Ma perché mai bisogna “portare la musica a tutti”? Cosʼè questa stupida ostinazione contemporanea a banalizzare tutto, a falsificare tutto, a trasformare ogni cosa in fast food o junk food? Perché questo sacro terrore della complessità? La complessità è anche approfondimento, penetrazione, viaggio in luoghi altrimenti inesplorati, competenza: una parola che oggi non interessa a nessuno. Ah no, “lʼarte è per tutti”, conta “quello che mi trasmette”… ma chi lʼha detto? Il flauto magico si può ascoltare con lʼingenuità di un bambino, ed è un incanto senza pari; ma quando si riesca a ritrovare la medesima ingenuità avendo scandagliato tutti i fondali marini di quel capolavoro, la rete di connessioni simboliche, misteriche, filosofiche, il cesello delle forme musicali, la metamorfosi dei temi, la relazione fra le tonalità e il loro significato rappresentativo, il rapporto fra la musica di Mozart e quella precisa ora della civiltà occidentale, si riemergerà da sottʼacqua con una cognizione e con una capacità di abbandonarsi infinitamente superiore. Il gusto non è soltanto un dono naturale, è una pietra grezza che diviene sfaccettata, luminosa e smagliante con pazienza, sforzo, studio, umiltà, amore.

Ho sentito suonare Lang Lang dal vivo e ho tutti i suoi dischi: è un bravo pianista, senza dubbio, ma quello che mi colpisce è la semplificazione che cʼè nel suo modo di suonare: il rendere gradevole e innocua ogni cosa, lo smussare gli angoli, il risolvere ogni problema stilistico semplicemente senza implicarlo e senza suggerirne la complessità, il non porsi la questione della ricerca spirituale: che è quanto rende sommi pianisti (molto diversi fra di loro) come (ieri) Richter o Gilels, come (oggi) Zimerman o Pollini. Lang Lang è nato nel momento giusto, al posto giusto, con le mani e la faccia e i capelli giusti. Non ho mai sentito una sua esecuzione che mi abbia trasmesso il brivido, che abbia smosso lʼinquietudine rischiosa di ogni avventura artistica, che abbia fatto scattare un interesse. Per questo, alla mia amica dal sorriso luminoso ho detto, da antipatico quale sono, “lascia perdere”.

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Il signore che cʼè nella foto qui sopra è stato un pianista di rispettabile carriera nella Russia sovietica, un apprezzato didatta, un concertista che spesso accompagnava i recital dei cantanti. Non ha mai conosciuto il successo planetario, la fama, la gloria, la ricchezza. Era, pare, un uomo che sapeva scrivere benissimo, e fra i suoi doni cʼera anche quello (teneramente triste) di saper fischiettare come un virtuoso (a volte teneva dei concerti in cui… accompagnava se stesso fischiettando sopra le note del pianoforte). Non era nato nel posto giusto e nel momento giusto (1920, Murom in Unione Sovietica, capirai…), e quanto ad avere la faccia e i capelli giusti, la foto dice tutto. Eppure questʼuomo, amato dai suoi didatti e dai suoi allievi ma completamente fuori dal “giro giusto” (e con una brutta riproduzione della Madonna Sistina di Raffaello vicino al pianoforte gremito di spartiti: appesa su una ancor più brutta carta da parati), era un genio: dentro di sé aveva il demone, lo racchiudeva in un abisso dal quale si aprivano e raggiungevano la scintillante superficie i doni della grazia, di una suprema eleganza, di una dedizione appassionata e indifesa alla bellezza, di una sensualità infinita, di uno stile alto, nobile e puro.

Si chiamava Oleg Boshniakovich, è morto a 86 anni, sette anni fa. Su YouTube ho trovato qualche frammento delle sue esecuzioni (compresa una meravigliosa esecuzione della Barcarolle chopiniana), ma la qualità del suono non è molto buona. Chi voglia ascoltare una stupenda silloge dei Notturni di Chopin da lui suonati, può scaricarli, a propria responsabilità, da qui.