Inflessioni dell’amore
A quarantasette anni il fondaco quantitativo degli amori è stipato. Dʼora in poi non ci saranno più così tanti amori: ma solo gli amori che amo.
Così con i libri. Vivo in due case a Milano: una casa con la donna che amo da tanti anni, dove ci sono le grandi collezioni, la prima edizione fiorentina dei Canti di Leopardi, con la sconvolgente prefazione; la prima edizione della Recherche; migliaia e migliaia di volumi così belli e preziosi che non si possono leggere. Lʼaltra casa è piccola (è il luogo insostituibile dove ci sono le “mie” cose e dove sto con me stesso), raccoglie circa 1500 volumi, di più non ce ne stanno. Questo vuol dire che la stragrande maggioranza dei miei libri (che saranno 7-8000 circa) riposa da anni in un deposito, in casse dalle quali non usciranno probabilemente mai. Oggi, mentre facevo quattro passi a Milano per prendere il gelato da Grom, pensavo che sicuramente Praga magica di Ripellino è negli scatoloni. Questo significa che dovrò ricomprarlo, perché non può non esserci nella collezione dei 1500 libri da salvare. Voglio essere circondato, ora che inizia la seconda parte della vita, solo dalle cose che amo, e dagli amori che amo: non dagli amori che si collezionano per vanità, per foia, per diletto.
E non intendo solo le donne amate; ma la qualità dellʼamore stesso, che, più cresco, più capisco come sia velatura, verecondia, ambiguità, cose non dette, immagini sospese, rifiuto delle definizioni, dolcezza della sofferenza, vertigine dellʼallegria condivisa: e soprattutto contraddizione, perché contraddittorio è il divenire della vita: contraddittorio, trasformantesi di continuo, e ultimo a se stesso in ogni istante.
Pensavo a queste cose ieri notte, avendo riletto il libro più bello di Kundera, Lʼimmortalità, che beffa ogni semplificazione dellʼamore, ogni illusoria trasparenza, tessendone infiniti reticoli di significato, scivolando fra le identità come a farle metamorfosare lʼuna nelle altre. La definizione è nulla, il tono, lʼinflessione è tutto. Chi ha compreso più di ogni altro questo tono dellʼamore, che afferma la contraddizione come consustanziale al desiderio; chi lʼha compreso nel modo più lirico, radicale e disperato e definitivo, è come sempre Dostoevskij. Negli appunti preparatori dellʼIdiota compare, alla data 10 marzo 1868, questa sublime annotazione rivelatrice: “NB. Aglaja dice a Nastasʼja Filippovna che lei sposa il Principe perché è un ricco idiota. Ma da alcune note della voce e da alcune esclamazioni N(astasʼja) F(ilippovna) capisce che lei ama il Principe”.
“Da alcune note della voce”. Ecco tutto. Cosa importa delle cose dichiarate?
(La foto è, naturalmente, tratta dal capolavoro di François Truffaut, La Femme dʼà côté, 1981)