Francesco Maria Colombo

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Vicky Cristina Barcelona - Francesco Maria Colombo
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Vicky Cristina Barcelona

Un altro Woody Allen dopo Broadway Danny Rose? Et voilà.

Cosa vogliono le donne? Secondo la mia amica M., due cose: essere viziate, essere scopate. Quando Vicky e Cristina, due ragazze americane legate da amicizia, arrivano a Barcellona per una lunga vacanza d’estate, incontrano un uomo che sa fare esattamente questo: viziare e scopare le donne. Si chiama Juan Antonio, fa il pittore astrattista, guida una vecchia Alfa Romeo rossa, vive in una casa-atelier circondata dal verde, ha imparato dal padre ad amare la poesia e la musica, e (fatto non trascurabile!) ha le fattezze di Javier Bardem. Conosce Vicky e Cristina al tavolo di un ristorante, si presenta e le invita, calmo, sicuro di sé, schietto, sornione, a trascorrere con lui un week-end a Oviedo: per guardare la vecchia città, ammirare una scultura, conversare, cenare ascoltando la chitarra nei giardini, fare l’amore. Non chiede nulla, offre.

Vicky e Cristina sono diversissime. Vicky sa quello che vuole, ha programmato la propria vita su strutture solide e prevedibili, è fidanzata con un ragazzo (rimasto, per ora, in America) affettuosissimo, la cui conversazione fa il periplo sport-computer-investimenti-promozioni societarie e ritorno. Cristina sa solo quello che non vuole: è in cerca di verità, di amore, di emozione, e ha un istinto sicuro per farsi del male. Naturalmente chi accetta subito l’invito di Juan Antonio è Cristina, Vicky la segue a Oviedo di malavoglia, e da quel momento le cose non saranno più le stesse. Juan Antonio ha fatto scattare qualcosa che si chiama eros e abita nel profondo delle due amiche così diverse, come nel profondo di ciascuna donna: l’eros, che è insieme seduzione, batticuore, desiderio, invidia, gelosia, possessività, libertà, amore, odio, sesso, rovesciamento di ogni equilibrio. Tutte e due le amiche scoprono qualcosa che non sapevano di avere dentro, o che conoscevano per illuminazioni vaghe e incerte: tutte e due, attraverso l’eros, scoprono la bellezza, il rischio, l’irrazionale e fugace incanto della vita.

Ma Juan Antonio è legato a una terza donna, che fa parte di un passato che non sarà mai soltanto passato. La terza donna è María Elena, è stata sua moglie: è un’artista, una femmina di smisurata sensualità e un temperamento folle. Tutto quello che le altre donne vivono cercando un equilibrio e appoggiandosi a ringhiere rassicuranti, María Elena lo vive come se fosse l’ultimo istante. Nessuno ama come lei, fa sesso come lei, litiga come lei, distrugge come lei, ispira come lei. L’amore fra Juan Antonio e María Elena è fatto di odio, di rabbia, di passione, di sofferenza, di violenza, di incomprensioni, di comprensioni più forti dell’incomprensione. Un amore così è impossibile (María Elena ha tentato di uccidere Juan Antonio e se stessa), o è l’unico possibile. Un amore così non può che finire, eppure durerà tutta la vita.

Come andrà a finire (o a non finire)? Vicky Cristina Barcelona (2008) ripropone una delle strutture classiche del cinema anni Trenta (e i dialoghi, forse i più perfetti e fluidi mai scritti da Woody Allen, sembrano a volte sfiorare la bellezza inarrivabile di certi film di Lubitsch): l’altrove (in questo caso Barcellona) dove, in un tempo classicamente limitato secondo le antiche regole della drammaturgia, i personaggi ricominciano da capo a essere se stessi, e attraverso una rete di azioni e interazioni arrivano a esserlo pienamente, contraddicendosi per diventare più veri, e a configurare delle figure archetipiche. Detto così sembra un assunto teorico, ma Vicky Cristina Barcelona è invece un film su cui aleggia la grazia, l’incanto volatile della leggerezza, che contiene in sé passione e malinconia. Tutto scivola con un senso del timing supremo, con una scioltezza, una sinuosità, un’armonia che non si possono correggere.

Non ho mai creduto all’idea che Woody Allen, pur avendo diretto molti film mediocri, sia solo l’illustratore delle nevrosi di un intellettuale ebreo di New York, imbranato e ossessionato dal sesso: è invece un sensibilissimo indagatore della femminilità, cui ha dedicato analisi e ritratti incantevoli, da Annie Hall ad Alice, fino a questo. I film migliori vanno rivisti tante volte, anche per scoprire che sono tali. Vicky Cristina Barcelona era, la prima volta che l’ho visto, un apologo molto ben riuscito sulla differenza di cultura fra America ed Europa, sui diversi modi di vivere l’amore, sull’arte della seduzione e sull’amicizia fra persone che non potrebbero essere (apparentemente) più diverse. L’ho rivisto iersera ed era, insieme con tutto questo, un altro film: uno stupendo film sulla psicologia femminile, su ciò che c’è in ogni donna, la più scatenata e la più riluttante, ed è pronto a scintillare (o a eclissarsi) al minimo accadimento. In una meravigliosa scena, Cristina entra nella camera d’albergo di Juan Antonio, un po’ ubriaca e piena di voglia. E prega Juan Antonio di non sbagliare, di non fare il passo falso, di non sciupare l’incanto (“blow it”) come spesso fanno gli uomini. E quando Juan Antonio le chiede quale può essere l’errore, lei risponde “some inane comment, wearing the wrong kind of shorts… Although somehow, by looking at you, I think you’re wearing the right kind of shorts”… C’è tutta la donna in queste parole (e siamo a un passo, appunto, da Lubitsch). Ecco l’eros, che vive e si trasmuta e si dipana con quell’insensatezza, quell’irresponsabilità luminosa, quell’oscuro e tenace e violento legame con la terra, quella levità che fa tutt’uno con il cuore gonfio, che rendono le donne così misteriose e irrinunciabili.

Infine, Rebecca Hall e Scarlett Johansson (Vicky e Cristina) sono bellissime e bravissime, ma nel momento in cui entra in scena Penélope Cruz (María Elena) diventano due scolarette insignificanti davanti a una Donna. Non so se sia mai esistita una donna più bella, ma sicuramente mai un’attrice che riunisca la bravura di Meryl Streep e la bellezza di… se stessa. E’ impossibile staccarle gli occhi di dosso, e quando piange, quando è arrabbiata, sporca, sgraziata, nevrotica, volgare (lei, María Elena, che riunisce tutti i talenti dell’arte) è ancora più irresistibile.