Clandestinità
La sera del nostro primo incontro c’era già ogni cosa: il fronteggiarci, il desiderarci e il respingerci, la clandestinità, il proibito, la fugacità, l’intesa, la paura; e la notte. Ci siamo visti, la prima volta, facendo finta di non vederci: tutto ciò che siamo stati è racchiuso in quello sguardo furtivo e rubato alla normalità della vita. Lei col fidanzato; io, che le avevo dato ogni disposizione su come fare, camminavo in senso inverso al loro, con il pastrano e il cappello. Una via poco frequentata e poco illuminata, una tarda serata invernale. Un teatro dove si dava Shakespeare: avevano prenotato due poltrone.
Con una scusa lei esce poco dopo l’inizio della pièce, scivola fuori, ci appartiamo in un androne: buio nel buio, notte nella notte. Non dimenticherò mai quei pochi minuti, il suo profumo, il primo contatto con le sue mani, le mie dita che le cingono la vita sottilissima. Non c’è tempo per gli indugi: lei deve tornar dentro e argomentare meglio la sua scusa. Due animali braccati, che si faranno del male per tutto il tempo loro destinato. Ho saputo subito che avrei toccato con lei una sofferenza senza nome, ma che quel cortile fasciato di ombre azzurrine, quell’abbraccio veloce, quelle labbra scarlatte erano il luogo della verità che da sempre mi attendeva.