Francesco Maria Colombo

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Del fraseggio (e del cane di Pavlov) - Francesco Maria Colombo
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Del fraseggio (e del cane di Pavlov)

Tutti noi che abbiamo fatto un po’ di musica (dalla Prière d’une vierge al Sacre du printemps, ciascuno come può) ci siamo posti prima o poi il problema del fraseggio. Il fraseggio è il grande mistero della musica: che cosa è mai? Provo a dire quel che ne penso io. La musica è una successione di note e di silenzi nel tempo; quella successione si organizza (attraverso tanti parametri lessicali, l’altezza delle note, il ritmo, l’impianto armonico e così via) in linee riconoscibili, che assumono l’aspetto di frasi capaci di espressività (può essere espressività della musica stessa, come nell’Arte della fuga; o di un contenuto oggettivo che venga evocato, come nella Sinfonia alpina di Richard Strauss).

Tale espressività è tanto più intensa se l’esecutore sappia modellare la frase in modo da renderla plastica. Faccio un esempio attingendo al mondo della vista e non dell’udito: nell’immagine qui sopra ci sono due tondi, delle stesse dimensioni e nati con lo stesso colore blu. Nel primo tondo non si è intervenuto: è tutto blu. Nel secondo tondo si è intervenuto con Photoshop: il colore non è cambiato, è esattamente lo stesso punto di blu; è cambiata la luminosità attraverso l’uso di gradienti che sfumano la luce da chiaro a scuro. Qual è il risultato? Quello di una sfera tridimensionale. Gli elementi di cui è fatto il secondo tondo sono gli stessi del primo: colore blu, forma, volume (si tratta in ambedue i casi di una figura bidimensionale, di fatto), luminosità. Però il secondo sembra tridimensionale, e l’effetto è molto diverso.

Questo, mi pare, è il fraseggio: in una frase musicale si possono scegliere mille dettagli da mettere in luce o in ombra, agendo sull’agogica, sulla dinamica, sulla velocità, sull’accento, sul colore strumentale e così via. L’esecutore può dunque ottenere lo stesso effetto di tridimensionalità del secondo tondo, traslandolo nel mondo del suono. Se lo fa con perizia, l’espressività della frase se ne giova; se lo fa in modo sgangherato, l’esito è un pasticcio.

Perché dico questo? Perché sono tornato a Milano e mi è venuto il desiderio di ascoltare, dopo molto tempo, musica. Vediamo un po’ cosa ascoltare. Qualcosa che mi piaccia molto, per esempio un’opera di Verdi. Vorrei capire come si fraseggia Verdi ai giorni nostri, in orchestra. Pieno di desiderio di imparare mi dispongo all’ascolto, e cosa sento? Sento un’orchestra magnifica che viene condotta a fraseggiare in un modo molto riconoscibile, e cioè allargando il tempo in concomitanza con l’acme dinamica e il punto di massima tensione armonica delle frasi. Ma questo secondo me non è fraseggio, questo è il riflesso del cane di Pavlov. I grandi interpreti verdiani, Toscanini, Giulini, Karajan, Mitropoulos, Schippers, Abbado e così via, non si sarebbero mai sognati di allargare il tempo tutte le volte che la dinamica e l’armonia creano una climax. Non se ne sarebbero mai sognati perché già a loro, ai loro tempi, sarebbe parso un effetto passé, soprattutto se riprodotto immancabilmente. Per questo, dopo una mezz’oretta di Verdi fraseggiato in tal modo, pur se cantato benissimo, suonato benissimo, curato benissimo da un concertatore di insuperabile bravura, io, in quanto ascoltatore della strada oltreché musicista oggettivamente modesto, a malincuore mi arrendo. C’è una sola cosa peggiore di una caricatura: una caricatura vecchia.