
Elogio dello chignon
Quando avevo sei anni e andavo alla scuola elementare (anni Settanta, ancora esistevano il freddo e la nebbia) le mie idee sulla sessualità erano confuse, o meglio chiarissime: prendevo una matita e disegnavo la nuca scoperta delle mie compagne che portavano i pig-tails, o, meglio, la coda di cavallo. Venni scoperto, e fu la prima delle innumerevoli volte in cui venni guardato molto male: col tempo ho imparato che è bello così.
Il freddo e la nebbia sono scomparsi, ma la curva che si rastrema sopra il collo, si arcua all’infuori e sboccia a ventaglio nella chioma, ha tuttora per me una fascinazione suprema. Lì abitano gli attributi irrinunciabili della femminilità, la grazia, la fragilità, l’illusione di naturalezza conquistata grazie all’artificio. Non esiste pelle più bianca e sottile di quella della nuca, né più sensibile al soffio: è la plaga dei brividi e delle parole sussurrate, l’incipit di ogni viaggio; è l’indifesa dolcezza ma anche la regalità e il prestigio. Oggi quasi nessuna donna porta più lo chignon: al massimo i capelli vengono raccolti per praticità attorno a una matita: per quasi nessuna il rito minuzioso che trasfigura la materia e le dona forma plastica, consegnandola all’immaginazione e alla vita, ha più un senso. Eppure di fronte a una crocchia bionda o nera perfettamente raccolta io resto sgomento come davanti a un mistero antichissimo, all’imprinting di un’intera vita. E’ l’altro versante di me, insieme con quello vorace: è il versante artificioso, complicato, il più cerebrale, il più periglioso. Nessuna donna, mi ha poi insegnato la vita, può essere appassionata come le donne altere, eleganti e fredde. Le sensualone abbronzate ed espansive sono noia ginnica, inerte sobbalzo.
In Vertigo di Hitchcock, come tutti sanno e come Hitchcock ha meravigliosamente spiegato nell’intervista a Truffaut, lo chignon ricomposto è il momento in cui l’immaginaria Madeleine, la donna che è vissuta due volte o che non è mai esistita, torna dalle dimore incorporali ed è pronta all’amore fino a allora rinnegato. Per ogni elemento che si sovrappone esteriormente, il tailleur, la tinta dei capelli, il trucco, infine la crocchia, c’è qualcosa di lei che si sveste di fronte alla mente, dove lo sconvolgimento feticistico agisce. Non sapevo nulla di tutto ciò a sei anni, ma capivo che nulla eguaglia la promesse de bonheur di quell’assurdo, contorto, esigente, ricercatissimo fiore velenoso portato dove i santi recano l’aureola.