Francesco Maria Colombo

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Giselle o dello splendore - Francesco Maria Colombo
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Giselle o dello splendore

Roberto Bolle comincia la serie impressionante degli entrechat six e il pubblico comincia a trattenere il fiato, a non crederci, poi a tremare, e quando è arrivato al trentaseiesimo la mia vicina (una ragazza molto giovane, sicuramente poco usa alla Scala tanto che ha chiesto alla maschera: “Ma sotto lì c’è l’orchestra? Posso andare a vederla?”) si gira verso il fidanzato e fa: “Sticazzi!”

Lo dico senza snobismo ed anzi imparando da questa reazione parecchie cose, come molte ne ho imparate da tutta la recita di Giselle alla Scala: protagonista la stupenda Svetlana Zakharova. Quando sono entrato credevo che il balletto fosse una cosa, quando sono uscito ho capito di essere come Parsifal alla cerimonia del Graal nel primo atto: il cammino iniziatico è appena cominciato.

Allora, cosa ho imparato? In sostanza questo: che il balletto è vivo e che l’opera lirica sta agonizzando.

1 – Esiste un pubblico, e me ne sono reso conto ieri. Un pubblico dove ci sono esperti e neofiti, connaisseurs supercigliosi e anime semplici come la mia vicina. E’ un pubblico a volte un po’ ruspante (cos’erano certi salsicciotti inastati sui tacchi 12…) ma è un pubblico che c’è e si entusiasma, e non assiste alla serata ma la vive. Ed è un pubblico giovane. Chi sia uso alle serate prese in ostaggio dal pubblico della Filarmonica, che non batte le mani bensì le falangette, in una sera di urla ed esplosioni come ieri resta sbalordito.

2 – Esiste nel balletto un’evoluzione, un linguaggio che si rinnova di continuo. Giselle è la celebrazione della classicità (l’allestimento di Benois dovrebbe essere patrimonio dell’Unesco) ma la danza conosce mille ramificazioni e mille forme di rinnovamento. L’opera lirica invece continua a ripetere se stessa, Bohème dopo Traviata (e parlo di capolavori): l’unico elemento di curiosità sta nelle attualizzazione dei registi, ma si tratta di curiosità per allocchi perché sono almeno 40 anni che i registi mettono in scena cose loro (belle o brutte che siano) senza alcun rapporto con la drammaturgia dell’opera rappresentata. Eppoi il rituale è sempre lo stesso. Si canta, si suona, si gesticola, è sempre la stessa minestra riscaldata. Laddove il rinnovamento della danza coinvolge un pubblico giovane, curioso e partecipe, il rinnovamento dell’opera lirica riguarda sempre e comunque una casta di vegliardi annoiati, e viene accolto con inerzia. Nell’opera lirica contemporanea non c’è stata nessuna Pina Bausch, non c’è stato alcun Alvin Ailey: artisti capaci di parlare a tutti, non solo agli intellettuali. Da moltissimi anni la musica non produce più una partitura operistica di alto livello che vanti un vero successo popolare. E’ un’arte agonizzante. Non la terrà viva la trama del Trovatore né quella del Rosenkavalier.

3 – Esistono i divi, nella danza. Senza i divi, cioè quegli artisti capaci di farti sentire che lì, in quel momento, il mondo si eclissa davanti all’apparizione della bellezza e della perfezione, un’arte si immiserisce. Soprattutto il pubblico popolare ha, giustamente, bisogno dei divi. Ieri Svetlana Zakharova e Roberto Bolle hanno ballato come se al mondo non esistesse altro che la loro grazia, la loro presenza, la loro abbagliante regalità artistica. E il pubblico è impazzito. Nell’opera lirica non esiste più nulla di simile. Non ci sono più divi. Ci sono grandi cantanti con un grande seguito di pubblico (per esempio Kaufmann, per esempio la Netrebko), ma nessuno di loro è un divo nel senso in cui lo sono stati la Callas o Birgit Nilsson o Alfredo Kraus. Il duo Zhakarova/Bolle è di quella razza lì, di quella che invera il verso di Montale per Esterina: “Ti guardiamo noi, della razza / di chi rimane a terra”. Né oggi esistono più i divi fra i direttori d’orchestra. Oggi i più grandi direttori viventi, Temirkanov e Haitink, per diversi motivi sono tutto tranne che divi (ciò che furono Karajan, Bernstein, Kleiber).

Conclusione: stretta fra le versioni paludate del melodramma tradizionale e le furberie dei registi, l’opera lirica boccheggia e non è in grado (parlo delle opere contemporanee) di far stare un pubblico popolare con il fiato sospeso. Il balletto… “sticazzi!” come diceva la mia vicina. Ha ragione lei.