Ho tante cose che ti voglio dire
Torno adesso dalla Bohème alla Scala, dove ho rivisto tanti amici: una bella serata, c’era Anna Netrebko che cantava con molta generosità e, mi pare, verità del cuore. Torno a casa e rifletto su qualcosa che affiorava dentro di me durante le ultime scene, e di cui non mi ero mai accorto così tanto, nemmeno quando la Bohème l’ho diretta, negli Stati Uniti, qualche anno fa. E cioè la verità del personaggio di Mimì. Ma non la verità in seno all’opera, la raffigurazione musicale, la credibilità drammaturgica… Proprio la verità del non avere io un perché davanti a una ragazza che muore: una ragazza che non ha vissuto niente di speciale se non le poche cose vere dell’animo umano, l’illusione della primavera, la strada incerta dell’amore, la nostalgia, la paura, le piccole cose (una cuffietta) che sono simulacri delle piccole emozioni che per tutti noi sono “grandi come il mare”.
Non so perché, forse perché nelle ultime settimane ho visto mio padre avvicinarsi alla morte e abbandonarlesi, ma quella cosa così inspiegabile e indecifrabile che è ogni vita umana mi ha toccato come l’unico comune nostro retaggio. Che senso ha mai avuto l’esistenza di una ragazza chiamata Mimì senza nemmeno saperne il perché, che ha amato, sofferto, sperato, e che se ne va tra i pochi amici che sono tutto il suo universo sentimentale? Che senso ha che abbia vissuto per due decadi in mezzo all’Ottocento (l’Ottocento: il secolo degli eroi, di Napoleone, del treno, della rivoluzione industriale, dell’impero vittoriano, di Marx, di Dickens, di Hugo, di Wagner)? Che senso ha che sia stata viva, e bella, e abbia toccato il cuore di un gruppo di scioperati che a loro volta non ci sono più?
Il destino di questa ragazza, che entra nella nostra vita accompagnata da un tema musicale di una bellezza e di una delicatezza senza difese, mi ha commosso ancora più dell’opera di Puccini, che in sé è un piccolo miracolo. Mi ha commosso vedere come la morte, questa parola augusta e immensa, sia una cosa piccola, il respiro di un corpo disteso su un lettino, un respiro che si fa più fioco: una cosa piccola in spazi piccoli, lontanissimi dai vanti del mondo. Così ho visto mio padre nelle ultime ore. Così è forse ogni morte. Mimì se ne va tornando in se stessa, nelle emozioni prime e infantili, il freddo, la stanchezza, la voglia di dormire. Mimì è vera.
(Nella foto, John Gilbert e Lillian Gish nel film La Bohème, 1926)