Francesco Maria Colombo

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Mele di ghiaccio - Francesco Maria Colombo
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Mele di ghiaccio

Iersera sono stato a cena, con il mio amico Lester che al pari di me ama le cose belle della vita, alla brasserie che è la versione più casual del miglior ristorante di Montréal, l’unico Relais & Châteaux in città. Io ci vado molto spesso perché l’ambiente è allegro, tutti sono gentilissimi, i camerieri sono competenti, il servizio è veloce e la cucina (che nel locale principale è molto raffinata) comprende tutta una serie di cose oscene e proibite che mi piacciono, le sublimi aringhe affumicate, la lingua di porco, il saucisson en brioche, la guancia di bue in gelatina, le rillettes di anatra, le lumache di mare all’aglio, la bavette de boeuf con le sue fibre untuose e morbide, tutte quelle cose meravigliose che ti stroncano per due-tre giorni. Ma poiché il Cielo mi ha dotato, fra tante altre dotazioni, di uno stomaco indistruttibile, una sera con Lester ad assaggiare queste cose e a parlare di donne, è una sera molto piacevole.

Iersera era di scena il fegato delle oche. Abbiamo pasteggiato a fois gras, dall’inizio alla fine (alla fine, una pallina di sorbetto all’arancia per tornare alla realtà). Fois gras au torchon dove l’aroma del Porto e del Cognac accarezza le carni, Fois gras poelé, e Terrine de fois gras. La Terrine de fois gras (completa del grasso d’oca, giallo e amaro) servita su un’assicella di legno e un foglio di carta oleosa, con del pane abbrustolito e qualche cristallo di sale grosso, e accompagnata da un vino perfetto, è una delle cose per cui vivere. Il migliore fois gras della mia vita l’ho mangiato, più volte, in Ungheria, e tutte le volte che vado da Gundel (uno dei veri ristoranti storici d’Europa, ahimè da qualche anno decaduto) il fois gras con gelatina di Sauternes mi riconcilia con l’esistenza (per altro il mio ricordo mitico risale agli anni Ottanta, in una Budapest comunista che era veramente il paradiso terrestre, sia per le ragazze, ma allora ero troppo giovane per godermi la vita, sia per la qualità del fois gras crudo: ah come tutto passa e decade….). A Montréal il livello non può essere lo stesso, ma è molto apprezzabile.

Avevo promesso a Lester che l’avrei stupito, e ci sono riuscito benissimo facendogli scoprire quello che io stesso ho scoperto un paio d’anni fa: l’abbinamento del fois gras con quella fantastica invenzione che è il cidre de glace. Il cidre de glace (che nome poetico, sidro di ghiaccio) è qualcosa di molto recente, il primo a produrlo è stato un benefattore dell’umanità di nome Christian Bartomeuf nel 1990. Allora gli davano del matto, oggi è una gloria nazionale canadese. Ci sono due metodi per arrivare a questo nettare: il primo è la crioconcentrazione, quando le mele vengono raccolte in autunno, tenute al gelo per tutto l’inverno e poi pressate ricavando il succo da far fermentare, ed è il metodo meno pregiato; il secondo è la crioestrazione: le mele vengono colte in inverno dopo che tre notti consecutive a meno 10 gradi le hanno letteralmente congelate, rendendole più piccole e aumentando la concentrazione di zucchero. Vengono colte e immediatamente pressate, e il risultato è diversissimo: ne viene un nettare denso, corposo, che si annuncia dolcissimo sulla lingua (va assaggiato molto freddo) per poi liberare l’asprigno della mela. Il Clos Saragnat, ai confini con il Vermont, produce il migliore cidre de glace del Québec (abbiamo bevuto una bottiglia del 2006, quando fu possibile raccogliere le mele solo per due notti in tutto l’inverno), e Lester, che è un esperto dei Sauternes, ha dovuto concludere che non c’è contrasto migliore del dolce-agro che questo miracolo in bottiglia sprigiona, accompagnato alla morbida, grassa, sontuosa, immonda polta del fois gras en terrine.