Non con Charlie
Ho lasciato passare qualche giorno e fiumi di retorica, poi sono andato a vedere che tipo di giornale fosse Charlie Hebdo, e cosa pubblicasse. E vedo e dico due cose.
La prima è che assassinio e strage non si giustificano mai: sono orrore puro. E per questo è giusto che si esecri la strage che è accaduta (e che, se non leggo male, poteva essere evitata) e che si dedichi rispetto alla memoria delle vittime. Fra l’altro, sono pur sempre un giornalista professionista, e onoro la libertà di stampa quale diritto fondamentale.
La seconda cosa che vedo è un’altra, e di tutt’altro genere, e non c’entra con la prima: vedo che Charlie Hebdo, che non ho mai letto fino all’altro ieri, è (era?) un giornale nel quale per sensibilità, senso estetico, formazione del gusto, non mi potrei mai riconoscere. Il confine della satira, come di qualsiasi forma di espressione, è il rispetto per le idee, la fede, gli oggetti di culto, i percorsi di pensiero di chi è diverso da noi. Senza questo rispetto la satira è non solo offensiva ma banale, volgare, triviale, bolsa. E’ molto, molto difficile essere blasfemi senza essere, nello stesso momento, vacui e ordinari.
Guardo decine di vignette pubblicate dal giornale francese, e faccio fatica a trovare qualcosa di davvero interessante, di costruttivo, di diverso dal lazzo e dal fescennino indirizzato a tutti, ai vivi e ai morti, ai santi e ai briganti, alle cose che per altri esseri umani sono sacre, care, importanti, sono la vita stessa. Di fronte a chi la pensa diversamente da me io cerco prima di capire, poi se il dissenso permane cerco di elaborare una critica partendo dagli elementi primi, la logica, le parole come “repertorio di simboli condivisi” (Borges). E se anche a questo punto non ci si intende, rispetto le mie idee e le mie scelte come pure quelle dell’altro, non lo prendo in giro, non mi avvilisco con il denigrarlo, non risolvo tutto con i meccanismi di produzione del riso (Bergson ne fa un’analisi meravigliosa) che sembrano scattare in modo coattivo dietro ogni vignetta di Charlie. Difendo le mie libertà, non porgo l’altra guancia perché non credo sia un bene, ma rispetto le scelte di vita e di fede di chi non la pensa come me. Rispettarle vuol dire anche criticarle, ma non beffeggiarle. Una risatina grossolana fa effetto, ma vale molto meno dell’elaborazione di un pensiero complesso davanti a fenomeni complessi. Questo mancava, a quel che vedo, al giornale nel quale oggi tutti corrono a riconoscersi.
Nulla giustifica le stragi, che vanno condannate senza vacillare. Nulla giustifica la limitazione alla libertà di pensiero e di espressione. Ma nello stesso tempo nulla giustifica la sguaiata banalità di una vignetta come quella che allego qui (riferita, questa volta, alla religione cristiana: il succo non cambia): essa offende chi crede nell’oggetto dello sberleffo, ma offende anche l’intelligenza e il gusto di chi ritiene che la satira sia, prima di tutto, un piacere intellettuale che è triste svilire. Io sono il primo ad avversare l’antropologia cristiana e a riconoscere in tanta parte della religione cattolica un nemico da combattere; ma non voglio essere l’ultimo a constatare che una vignetta così non è divertente né geniale né originale. E’ solo cretina.