Francesco Maria Colombo

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Oronzo - Francesco Maria Colombo
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Oronzo

Un paio di mesi fa, a Milano, in una bellissima casa dominata dal rosso, piena di libri e di oggetti preziosi, abitata da due persone fra le più colte che io conosca. Siamo a cena da loro, in sei: V. e io, il pianista Roberto C. con la sua deliziosa fidanzata. A un certo punto, il mio amico Roberto se ne esce con una domanda: qual è la vostra passione culturale inconfessabile? il vostro scheletro nell’armadio? Panico (e Roberto celia ma non risponde alla sua stessa domanda): il nostro squisito ospite cesella una risposta che di lui dice tutto: Addio, fratello crudele, il film di Patroni Griffi. Io gioco il tutto per tutto della verità e svelo l’arcano. Il mio scheletro nell’armadio è Lino Banfi (pron. Lino Bènfi). Ho tutti i suoi film (tranne un film tv che cerco disperatamente: Un inviato molto speciale, in cui il sommo Lino è un impiegato della Rai di Bari che arriva in sede a Roma il giorno in cui c’è sciopero: alla revoca dello sciopero non c’è nessuno che conduca il telegiornale, e lo fanno condurre a lui. Quel che succede si può immaginare…), li guardo in continuazione, posso recitare alcune scene di Più forte, cretino a memoria, potrei comporre una parafrasi pianistica de La moglie è meglio in biènco… Eh bien, io sono anche questo.

Il mio studio (che è sempre più la mia casa) sta in una bella via di Milano, una delle pochissime vie alberate del centro ad esser rimaste identiche a com’erano alla fine dell’Ottocento. All’incrocio più vicino ci sono due caffè che convivono armoniosamente. Nessun cliente dell’uno entrerebbe mai nell’altro. Uno è un caffè elegante, trendy, affollato al mattino da neo-mamme che fra loro si scambiano aggiornamenti tipo: “ma dai ci vediamo a Covtina”, “ma no, quest’anno si va a Celevina, a Covtina non puoi muovevti che incontvi tutto Milano” [ripeto: tutto, non tutta]… Io faccio sempre lì il breakfast, perché le brioches sono le migliori di Milano e il servizio è perfetto. Ma quando sono insonne, come stamattina, vado al caffè di fronte. Lì alle 5:30 della mattina non solo sono in piena azione, ma in assetto da combattimento. Musica a tutto volume, “Salve dottore!” sparato a una sol voce quando chiunque entri, brioches gocciolanti di burro, luci da abbagliare, grida di “un macchiato per il dottore!”, “dottore, zucchero di canna?”, “due e venti dottore” e così via. A quell’ora gli avventori sono tassisti che hanno appena finito il turno, guardie giurate che montano, qualche poliziotto, e FMC insonne.

Il caffè sfigato mi ha regalato il miglior debutto di giornata possibile. I baristi (che al caffè elegante si chiamano barmen) e gli avventori scambiavano un’animata conversazione sul tema della “bi-zona”, la tecnica tragico-geniale inventata dall’allenatore Oronzo Canà (leggi Lino Bènfi), ne L’allenatore nel pallone. Li avrei abbracciati. Io non ho più visto una partita di calcio da quando avevo 10 anni, non tengo a nessuna squadra, non me ne frega niente, ma L’allenatore nel pallone è per me qualcosa come Lettera da una sconosciuta di Ophuls, come Partita a quattro di Lubitsch, come Viridiana di Buñuel: una vetta assoluta della cinematografia mondiale. Il genio di Banfi non è mai stato così acrobatico e virtuosistico nello snocciolare i suoi “porca puttèna”, la sua scintillante giojelleria verbale, la sua auto-ironia debordante, il suo paradosso carico di umanissima pietas, il suo essere una parte di ciascuno di noi (di me certamente), il suo rivelare la solitudine dell’uomo in un cosmo incomprensibile che muta senza un perché, molto più di quanto non riesca a Burt Lancaster nel Gattopardo di Visconti.

Banfi non è solo il miglior comico italiano dai tempi di Totò (con una menzione d’obbligo per il Sordi di quattro o cinque film, soprattutto quelli con Franca Valeri): è un archetipo, è la pugliesità in quanto italianità, l’imbranatura, la foja sessuale di chi non attrae le donne, la casalinghità, la commendatura come stato dell’animo, la dignità del perdente anche quando vince, lo sperare assurdamente che le cose si mettano al meglio: è l’arra contro la comicità idiota e volgare degli intrattenitori alla moda dell’odierna televisione, il cui retroterra sociale, ambientale, morale non si vede perché semplicemente non c’è. E’ un dispensatore di verità, lui sì: un grande artista, un grande italiano.