Francesco Maria Colombo

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Polanski, le donne, il sesso e la grammatica paritaria - Francesco Maria Colombo
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Polanski, le donne, il sesso e la grammatica paritaria

Leggo su “Repubblica” online un articolo di Michela Marzano, deputato e professore ordinario all’università di Parigi V. Il tema: le esternazioni di due grandi (uno dei due sommo) registi al Festival di Cannes. François Ozon avrebbe detto: “Non dico che lo facciano per davvero, ma l’essere pagate per fare sesso è un desiderio tipico della sessualità femminile”, e Roman Polanski: “Penso che questa insistenza a livellare, uguagliare i generi e le identità sessuali sia un’idiozia” (a proposito del suo film tratto dallo splendido Venere in pelliccia di Sacher-Masoch).

Vero? Non vero? Banale? La scoperta dell’acqua calda? Per Michela Marzano queste due frasi si possono equiparare alle esternazioni filo-hitleriane di von Trier (quello che ha aggiunto il “von” al proprio nome) dell’anno scorso: “Dopo le dichiarazioni sconcertanti dell’anno scorso di Lars Von Trier su Adolf Hitler, questa volta, a Cannes, è stato il turno di François Ozon e di Roman Polanski”. Di lì in poi Polanski e Ozon vengono fustigati: “Essere un grande regista non ha mai voluto dire essere anche un grande intellettuale. Ecco perché non si può rimproverare ai due noti cineasti di non essere al corrente degli sviluppi del pensiero di genere, delle evoluzioni della psicologia e della psicanalisi, o ancora dei passi da gigante che si stanno facendo a livello giuridico per permettere all’uguaglianza tra gli uomini e le donne di diventare effettiva. Ma da qui a tollerare esternazioni di infimo livello ce ne corre. Tanto più che le dichiarazioni di Ozon e di Polanski [che la Marzano scrive Polansky] assomigliano davvero alle battute di pessimo gusto che si scambiano talvolta alcuni uomini al bar, magari dopo aver bevuto troppo”.

Dio mio, ma se io non faccio altro che ascoltare pianti, lacrime, disperazioni, delusioni delle amiche perché “gli uomini sono diventati donne”, perché non trovano più l’uomo che le ami anche nella guisa del possesso, perché devono sempre più spesso fare il primo passo… Mi domando se ho solo e sempre frequentato una nicchia psicopatologica del genere femminile (sicuramente per la Marzano sarà così): io di donne che hanno avuto, mostrato, confessato, realizzato la fantasia di prostituirsi non tanto per soldi ma per affermare un desiderio e una dichiarazione di identità, ne ho conosciute tante, tantissime. Almeno il 40 % delle donne che ho frequentato (e non è la feccia della società, ci sono scrittrici, giornaliste, musiciste, docenti universitarie, artiste, donne del mondo della finanza) si sono prostituite come minimo una volta in vita loro. Perché? Cosa c’è di tanto scandaloso? Allora anche Belle de jour di Buñuel non è un capolavoro del cinema universale ma una “battuta di pessimo gusto”? Io forse non avrei immaginato che il desiderio di essere pagate per far sesso sia un tema ricorrente della psicologia femminile, se non fossero state decine e decine di donne, nelle più variegate situazioni, ad avermelo confessato. E la stessa cosa accade con il desiderio di essere prese, possedute, soggiogate, sottomesse all’interno di una situazione di consenso e d’intesa (spero che nessuno mi accusi di giustificare la violenza alle donne: non c’entra niente, quella è la più ignobile e vergognosa delle condotte). Ci sono donne di tutti i tipi (per altro il film di Polanski racconta una perversione di segno speculare), ma esistono anche le donne che non piacciono a Michela Marzano perché vogliono essere, nel momento giusto, possedute: sono tantissime, hanno una vita serena, creativa e felice, fanno i conti con il versante oscuro e periglioso della sessualità (che può magnificamente convivere con la dolcezza del sentimento) e di solito sono le più interessanti, spregiudicate, irresistibili.

Si può benissimo “essere al corrente degli sviluppi del pensiero di genere, delle evoluzioni della psicologia e della psicanalisi” e, con tutto ciò, non essere d’accordo con chi voglia “riscrivere la grammatica delle relazioni umane in chiave paritaria”. Parità di diritti, naturalmente e ovviamente, questo sì: e parità di tutele da parte della legge. Ma grazie al Cielo uomini e donne non sono interscambiabili e fungibili. L’altra sera una mia amica, una delle donne più celebri, celebrate, colte e carismatiche che ci siano in Italia, mi diceva di un suo corteggiatore: “Non mi ha detto niente, al momento giusto mi ha messo una mano fra le gambe: in quel momento l’ho rispettato e mi sono abbandonata. Purtroppo quasi nessuno osa più farlo”. E questa non è, come vorrebbe la Marzano, un’esponente del “tempo in cui le donne restavano in casa e si occupavano dei bambini, lasciando agli uomini l’onore di occuparsi delle cose serie”: è, all’opposto, una donna che potrebbe essere l’emblema di una femminilità realizzata, indipendente e vincente.

Nella mia vita ci sono state tante cose che ho adorato: la musica, la fotografia, la scrittura, le tre arti cui ho dedicato il mio lavoro. Il pensiero, la letteratura, lo studio, i viaggi, i cosiddetti piaceri della vita e così via. Ma nulla ho adorato come le donne, tutte, quella che amo, quelle che ho amato, quelle con cui ho condiviso dei tratti della mia vita, quelle che hanno chiamato i figli col mio nome dopo tanti anni da che ci si era staccati, quelle con le quali ho giocato, vincendo e perdendo, all’infinito gioco della seduzione, quelle che mi hanno donato affetto, saggezza, vitalità, fantasia, conforto, quelle cui ho cercato di donare le stesse cose. Nulla ma proprio nulla nella vita regala la felicità e lo struggimento che regalano le donne. Considero bestie i violentatori delle donne, e invoco per loro i lavori forzati a vita, oltre alla castrazione chimica. Ma quante, quante volte ho sentito gridare “fammi male”, “trattami male” e mille altre espressioni che fanno parte della “grammatica delle relazioni umane in chiave paritaria”, certo, ma di una parità che non è indistinzione e livellamento: è dialettica, polarità magnetica, tensione e pacificazione alternata, è tutta quella meravigliosa differenza “senza conoscere la quale”, dice Goethe, “ci è preclusa ogni felicità sulla terra”.

(Nella foto una scena di Jeune & Jolie)