
Stop gender. Ma il gender che cos’è?
Prima di correre alle prove di un concerto voglio fare una breve considerazione sulla manifestazione di ieri a Roma, “in difesa della famiglia e contro le teorie gender”.
Chiunque ha diritto di manifestare senza far danno agli altri: hanno questo diritto i gay, i no tav, le zie, le nonne, le bisnonne e ce l’hanno anche quelli che vogliono la famiglia tradizionale. A me può non piacere, ma è un loro diritto.
Però questa manifestazione non è come le altre. Non rivendica un diritto. Questa manifestazione e l’ideologia che la sostiene vogliono invece limitare un diritto a chi non la pensa come loro. Vogliono dire agli altri (anzi, dettare agli altri attraverso la legge) quello che possono e devono fare come conseguenza non di una scelta libera, ma di un’imposizione. Loro pensano che la famiglia debba essere quella delle favole (o delle tragedie greche, dove le famiglie sono il nido di tutti i mali; o di Maupassant; o di Mauriac; o della Némirovsky; o delle quotidiane cronache di incesti, abusi e soprusi ai danni chi, nella famiglia ideale, è il più debole)? Benissimo: facciano ciò che vogliono. Ma non possono limitare la libertà altrui, che chiede semplicemente eguali diritti senza far male a nessuno. Dico “senza far male a nessuno” perché se è vero, come questi manifestanti sostengono, che la famiglia tradizionale ha le proprie basi nella natura, allora la famiglia “non tradizionale” (unioni civili, matrimoni fra omosessuali, adozioni in una famiglia di omosessuali) non minaccia un bel niente, perché la natura è sarà sempre la stessa. Ma dubito che i “pro famiglia” possano capire questa argomentazione.
Allora mi chiedo: che cos’è che li spinge a scendere in piazza per dire agli altri cosa devono e non devono fare? 1) L’ignoranza. 2) La paura. L’ignoranza è palese: basta leggere i loro slogan, vedere le loro facce, ascoltare qualche intervista. Non sanno nemmeno loro quel per cui manifestano. Se gli si chieda cosa sia la “teoria gender” contro la quale gridano, non sanno dire che cos’è, non ne hanno la minima idea. L’ignoranza non è nemmeno legata, a mio parere, a una matrice religiosa (se c’è qualcosa che predica l’apertura, la misericordia, la generosità, l’amore, è proprio il cristianesimo: purtroppo la Chiesa italiana ne offre una caricatura disgustosa). Viene piuttosto da ceppi territoriali, da luoghi dove non è arrivata l’informazione, dove nessuno sa quello che sta accadendo nel mondo. Pochissimi di questi manifestanti abitano in una città: del mondo, della vita, del pensiero non hanno che una visione sfocata e lontana, e proprio questo gli ingenera la paura.
Paura del mondo di fuori, di quello che non sanno, di quello che non decifrano perché non ne hanno gli strumenti, di quello che gli può cambiare le pigre abitudini, di quello che eccede il limite della loro esperienza, di quello che non possono tollerare perché non l’hanno mai incontrato.
E la paura è una delle massime radici della violenza.