Francesco Maria Colombo

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Troppo bravo per piacere? - Francesco Maria Colombo
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Troppo bravo per piacere?

Concerto di Christoph von Dohnányi iersera alla Scala. Anacronistico già dal nome del maestro, di nobiltà germanica e magiara. Fuori tempo nel fatto che sul podio è un signore asciutto e elegantissimo di 83 anni. Perso nel vuoto per il programma, Quarta Sinfonia di Schumann e Prima di Brahms (fra parentesi: più si invecchia e più si predilige Schumann a dispetto di Brahms, che amavo così tanto quando avevo vent’anni). Scala non piena, pubblico misto, in parte vetero-milanese non particolarmente glam, in parte coda della settimana della moda, con stupende ventenni inastate sui tacchi e accompagnatori in stile pusher georgiano. Foto col telefonino da tutte le parti e in tutte le guise (ma nessuno fa rispettare il divieto?!). Pochissimi applausi dopo Schumann, un po’ di più dopo Brahms. Per me, un concerto magnifico: diretto da un musicista di estrema competenza intellettuale e tecnica, chiarissimo nell’illuminare struttura e dettagli delle partiture, poco sensuale ma di enorme buon gusto.

Qual è il punto? Il punto è che una serata così, che venticinque anni fa era lo standard della musica nella normale attività di un grande teatro, oggi passa completamente inosservata. Manca l’evento, mancano i lustrini, manca lo scandalo, mancano i direttori che saltino sul podio come l’orango nella foresta, mancano le note fracassone, mancano i proclami. Resta la musica, e ce ne è moltissima, ma non è ciò che interessa. Non dice più niente a nessuno: per gran parte del pubblico di ieri era lo sfondo alla foto fatta col telefonino.

E qui si aprono dubbi a valanga: non solo sul fatto che il pubblico è cambiato, i codici d’ascolto sono cambiati, così come le aspettative, l’interesse, la competenza etc. Ma soprattutto sul fatto che oltre un certo livello di formazione estetica, il valore delle cose diventa un segreto da iniziati, completamente inaccessibile ai più. Quando si conoscono troppe cose, si sono viste, sentite, lette, meditate troppe cose, il proprio linguaggio (che può essere la parola, l’immagine, la musica, la costruzione di un argomento) diventa più raffinato ma molto meno forte e capace di comunicare. Il concerto di ieri era raffinatissimo, ma non aveva forza d’impatto: dopodomani non se ne ricorderà più nessuno. Aveva, come dire, troppo valore: o meglio un valore fondato su troppi presupposti culturali, che ai più non dicono nulla.

Tutto questo mi dà una certa tristezza e un certo disorientamento ma è così. Una foto di Atget o di Sander sarà apprezzatissima da un certo numero di connaisseurs; ma chi si compiace di tramonti o di lingerie non la vedrà nemmeno. E questo vale per tutto, per i libri, per la musica, per ogni cosa. Ci sarebbero tante cose da dire svolgendo questo argomento: per ora lo lascio lì, solo accennato, ma vi ritorno.