Francesco Maria Colombo

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Un genio - Francesco Maria Colombo
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Un genio

Quando si gettò dal Barbizon Building in Lexington Avenue, il 19 gennaio 1981, Francesca Woodman aveva 22 anni. Pochissime delle sue fotografie erano mai state viste: due mostre in America, in sedi periferiche; una in una galleria romana. Non ha mai avuto a che fare con la moda, il glamour, il commercio dellʼimmagine; non ha conosciuto il consenso e il successo. Un appunto, a ridosso del suicidio, dice: “Vorrei piuttosto morire giovane, preservando ciò che è stato fatto, anziché cancellare confusamente tutte queste cose delicate”. Aveva un volto bellissimo, con uno sguardo calmo, maturo e posato su lineamenti di adolescente. Lʼaltro suo sguardo, quello della fotografia, è il senso di Francesca nella storia e nellʼarte.

Da quando ha scattato per la prima volta, a 13 anni, la Woodman ha investigato come pochissimi altri artisti il tema del sé, dellʼidentità e della presenza dellʼio (come corpo, dato fisico e visivo, come messe di contenuti, come unità mensurale dello spazio, come bagaglio di percezioni e sensazioni) nel mondo. La sua prima foto è un autoritratto. Quelle che seguono saranno tutte, con pochissime eccezioni, autoritratti. Il corpo nudo di Francesca è quel mistero che tutti noi abbiamo conosciuto, lʼessere “noi stessi”, autoconsapevolezza e autocoscienza, in qualcosa che è altro da noi ma che acquista senso solo nel momento in cui lo percepiamo e lo interpretiamo. Una stanza vuota è una stanza vuota, ma è anche ciò che noi attribuiamo alla stanza vuota. Un corpo in quella stanza vuota è un corpo, ma è anche un rapporto (di volumi, di forme, di gesti, di geometrie, di textures) con la stanza, ed è ciò che reinterpreta la stanza, a propria volta reinterpretato dallʼocchio di chi guarda. La stanza, il corpo, lʼio che percepisce e attribuisce entrano in una complessa relazione di significati sovrastata dallʼenigma che tutti noi sperimentiamo ogni volta che la nostra identità giunge a consapevolezza: chi siamo? perché siamo lì? cosʼè questo corpo che percepiamo come “noi stessi” e questo spazio e queste presenze che percepiamo come “altro”? esiste un confine, unʼinterazione, uno scambio fra lʼio e lʼaltro? dove iniziano e dove finiscono? sono istanti in un tempo che scorre o intimazioni di eternità?

Il rapporto fra istante e eternità è la natura stessa della fotografia, lʼunica arte ad essere istantanea per definizione. Qualsiasi foto mira a eternare lʼistante. Le foto della Woodman vanno oltre: oltre lʼistante, oltre il frammento temporale. Non conosco nessun fotografo in cui quel preciso istante catturato e scritto dalla luce si sottragga così radicalmente al tempo e allʼoccorrenza biografica. “Qui il tempo si fa spazio”, le parole del Parsifal potrebbero essere incise a esergo del suo corpus.

Così ritroviamo quel corpo, nudo, bianco, stagliato come luminescenza pellucida o reso concreto di materia: soggetto e oggetto dellʼimmagine. Le gambe divaricate, in piedi, sopra ombre che sono orme nella terra, come se il corpo ne fosse stato divelto. Una schiena su cui cola del liquido bianco che smaterializza la carne. Trasparenze addossate a mura incrostate (il corpo era là? quando? perché?). Il vetro di una finestra che inclina su uno specchio di vetro che riflette un corpo che regge un vetro. Un albero millenario le cui radici affondano nellʼacqua, e sotto le radici il corpo disteso… alga? flutto? donna? Il movimento come scia, ombra di un corpo che è già scomparso: sua traccia, suo gioco, sua ironia, il gesto dissolto entro geometrie di cui è (era) misura). Su un pavimento a scacchi la corazza a scacchi di una tartaruga, mentre una figura nera se ne ritrae coprendosi il volto.

Donna, artista solitaria, indagatrice dellʼio, creatrice di flussi di coscienza smisurati, suscitatrice di bellezza, vita votata al suicidio (lo aveva già tentato prima di riuscirci), la Woodman può richiamare alcune figure della confessional poetry, Sylvia Plath o, ancora più grande, più forte, più disperata, più bella, più sessualmente spreguidicata, più estrema nella vita e nellʼarte (una Plath senza le inibizioni della Plath e il perseguimento del dieci in condotta), Anne Sexton. Ma cʼè una differenza fondamentale: lʼio della Woodman non è mai un io biografico o psicologico, a dispetto della monomania per lʼautoritratto; è un io come presenza enigmatica senza altre categorie, un io che non è più quellʼio preciso, un io come la “cosa delicata” dellʼappunto di Francesca, preservato prima della cancellazione finale.

Tutto ciò nellʼopera di una ragazza, figlia di artisti della provincia americana. Molte delle foto più belle di Francesca Woodman sono state scattate prima che fosse maggiorenne. Viste una volta, non ci abbandoneranno più.