Un santo non per me
La prima reazione, e forse la più sana, è di dire chissenefrega. Domani vengono canonizzati due Papi, uno dei quali regnante prima che io nascessi, l’altro un uomo senza dubbio fuori dal comune, ma che non ha mai detto nulla che abbia toccato la sfera spirituale che c’è, come in tutti, anche in me. Eppure è il caso di riflettere, se non altro perché oggi la Chiesa, con l’elezione di Francesco, ha avuto un incredibile balzo in avanti in termini di popolarità e appeal: the man of the year, le interviste, le telefonate (ma perché non telefona ai deputati olandesi o finlandesi, e a Pannella sì?), i giornali (soprattutto quelli che una volta si definivano “laici”) inverosimilmente proni, i politici in fila, un armamentario di pubblicità senza precedenti. Francesco, come la Nutella, piace a tutti: tanto più bisogna stare attenti a quel che dice perché, bene o male, il Vaticano condiziona la nostra vita di ogni giorno.
Di Giovanni XXIII conosco troppo poco per pronunciarmi. Ho letto il suo diario spirituale e un paio di biografie (io leggo di tutto: dalle memorie di Mathilde Kschessinska, la ballerina amante dello Zar, alla biografia di Santa Teresa di Lisieux: non c’è nulla che non mi interessi), e ne ricavo l’immagine di un uomo intelligentissimo, molto spiritoso, uso al vivere nel gran mondo internazionale nonostante l’origine umile, sottile battutista e ottimo giocatore di bridge.
Ma di Giovanni Paolo II so tante cose: e soprattutto so che non è un santo che faccia per me. Francesco lo canonizza e questo non è un buon segno. Il Papa polacco fu certamente uomo di immenso polso e carisma, ma il suo ruolo su questa terra è stato soprattutto politico (infatti l’attentato di cui fu vittima ha una scaturigine politica, non ha nulla a che fare col martirio per la causa della fede). Agì in modo decisivo nel crollo dei regimi comunisti, nessuna analisi storica misconosce questo suo ruolo.
Ma la dottrina che ha propugnato, le sue scelte, la visione dell’uomo che ha rappresentato, mi fanno orrore e non vedo nulla di santo in esse.
Si batté sempre contro il primo, fondamentale, inalienabile diritto di ogni uomo, che è quello di scegliere se vivere o morire senza che nessun altro scelga per lui: la sua cecità di fronte alla dignità pietosa dell’eutanasia è stata vergognosa. Vergognosa la sua visione della sessualità umana relegata alla sfera del coniugio e della riproduzione, con la condanna di tutti i comportamenti che da tale visione sfuggono: non ha fatto niente per venire incontro ai divorziati, alle coppie omosessuali (al tempo suo si diceva: “alle persone di condizione omosessuale”, un capolavoro di gesuitismo: tale condizione sarebbe “una tendenza, più o meno forte, verso un comportamento intrinsecamente cattivo dal punto di vista morale. Per questo motivo l’inclinazione stessa dev’essere considerata come oggettivamente disordinata”). Il matrimonio omosessuale sarebbe (cfr. Memoria e identità) “una nuova ideologia del male… che tenta di minare i diritti umani, contro la famiglia e le persone”. Su fecondazione artificiale, coppie conviventi, unioni civili, figuriamoci! In sostanza, non è per niente venuto incontro alle persone più deboli, ai sofferenti, a quelli che hanno bisogno una parola di accettazione e di misericordia. Chiusura totale. Mentre in Africa morivano a milioni di Aids, e gli stessi missionari regalavano pacchi di preservativi alla povera gente per impedire la pandemia, non disse mai una parola sull’obbligo morale di proteggersi e di proteggere. No: le solite fanfaronate sul piacere individualistico che mina alla radice la famiglia. E intanto quelli morivano. E questo sarebbe un santo? A me sembra che questa sua visione della vita (che nel caso dell’Aids è ai confini o della follia o del crimine) sia ancora oggi ciò che rende dure a morire certe forme di razzismo e di intolleranza, che poi la politica (come le solite manfrine sul “sostegno alle famiglie”) si incarica di rendere dura legge.
E sarebbe un santo quello che per decenni non ha fatto un bel niente contro la cloaca morale e la depravazione criminosa della pedofilia covata e coccolata negli ambienti ecclesiastici? E’ vero che aveva da fare con i regimi del comunismo, ma possibile che non se sapesse niente, che non alzasse la voce, che non facesse pulizia? Che Papa era? (Quando stavo al Corriere si diceva, fra colleghi: “per forza non si accorge di tutto il circo pedofilo che ha intorno, è l’unico etero del Vaticano”). E lo Ior? E tutto il marcio che solo ultimamente si tenta di scoprire per curarlo? Possibile che andasse tutto bene? Chi era il Papa quando affondò il Banco Ambrosiano, quando lo scandalo del caso Enimont (ricordiamo: 108 miliardi transitati in Vaticano) si arenò sui cavilli dei Patti Lateranensi, per i quali la giustizia non può essere ingerente nei casi di Oltretevere? Chi era il Papa quando sul conto alla filiale 104 della Banca di Roma si cumulava denaro riciclato? Ha detto qualcosa, Giovanni Paolo? Ha sollevato di peso i preti pedofili e gli amministratori corrotti? Li ha buttati fuori a pedate? Si è inginocchiato a chiedere perdono davanti alle vittime? No. Ha scelto di tenere tutto sotto silenzio, salvo in extremis, con un motu proprio nel 2002, quando ormai la Chiesa doveva versare risorse immani nelle cause penali intentate contro i suoi esponenti. E che santo è?
Chi ha beatificato il Cardinale Stepinac? La conosceva, Karol Wojtyła, la storia delle conversioni a forza dei serbi e le stragi perpetrate dagli Ustasha con la solerte benedizione del Cardinale? Se non la conosceva era un fesso. Se la conosceva era molto peggio, era uno che ha beatificato un criminale.
Lo voglio ricordare, infine, a braccetto con dittatori, più di uno, che hanno ucciso, oppresso le libertà, comandato con spietatezza, prodotto sistematicamente il male. Come sarebbe stato bello se al balcone, insieme con Pinochet, si fosse girato e gli avesse detto, in diretta mondiale tv: “Augusto, tu sei un criminale e un uomo orribile. Tu sei il peggiore dei peccatori, lo schifo dell’umanità, e io ti scomunico qui, davanti a tutto il mondo”. Nessuno avrebbe potuto farlo se non lui, l’uomo più famoso e seguito del mondo. Ma non l’ha fatto. Ha salutato e ha sorriso. Gesù l’avrebbe (l’ha) fatto. San Francesco l’avrebbe (l’ha) fatto. Lui no. Altro che santo.