Francesco Maria Colombo

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L'homme qui créa la femme - Francesco Maria Colombo
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L’homme qui créa la femme

Il ricordo che ho indelebile è quello di Yves Saint Laurent che guarda Yves Saint Laurent. A Palermo, qualche anno fa, poco prima che morisse. Un premio per David Hockney, una mostra fotografica di Sieff: la celebre foto di Saint Laurent nudo, uno dei grandi ritratti del secolo: e Saint Laurent che guarda se stesso. E’ un uomo alto dai capelli fulvi, invecchiato, appesantito, dai movimenti lenti, che tiene a stento l’equilibrio quando è seduto. La forma degli occhiali è ciò che lo rende più riconoscibile. Ha già disegnato quella che sarà la sua ultima collezione, la più leggera ed essenziale, fluttuante in tinte spente che sono l’opposto di quell’esplosione di colori che sono i suoi anni Settanta, e dunque gli anni Settanta tout court.

Stasera ho guardato il film di Jalil Lespert appena uscito, Yves Saint Laurent, con un attore somigliantissimo e bravissimo (Pierre Ninay): è un santino agiografico, non tanto su YSL quanto sul suo compagno di una vita e creatore della fortuna della maison, Pierre Bergé, oggi uno degli uomini più potenti di Francia, che dopo la morte di Yves ha scritto su di lui alcuni libri di grande bellezza e che qui compare nelle vesti di un eroe tutto dedizione e buon senso, che teneva in equilibrio la terra come Atlante mentre il genio creava e si dannava. E probabilmente è stato proprio così: ma è difficile farne un un bel film. Infatti si procede fra sfilate sublimi sotto la voce di Maria Callas, orge e cocaina e talento maledetto, il deserto del Marocco percorso in moto, la promiscuità del rimorchio sul lungo Senna e così via. Evabbè.

Però, una volta di più, che creatore straordinario era quest’uomo timido, introverso, vittima del bipolarismo, probabilmente molto egoista, spietato con chi non lo seguisse, capace di immaginare una definizione di bellezza mai esistita prima di lui… Io detesto quasi tutte le cose che Yves e i suoi sodali amavano, e alle quali hanno dedicato la vita: gli oggetti, il collezionismo, la beauté avant tout, l’estetismo, il dandismo, e naturalmente la moda, che Leopardi diceva “sorella della morte”. Però amo le donne, e qui YSL mi dà scacco, perché grazie a lui le donne sono diventate ancora più belle: sicché, eterna gratitudine (fra l’altro nel film scopro un’attrice di pazzesca bellezza di cui nulla so, si chiama Charlotte Le Bon e la prossima missione della mia vita sarà di arrivare a fotografarla)…

Si entra nel mondo di Saint Laurent attraverso la porta di Dior, che lo lanciò giovanissimo: i primi abiti serbano ancora l’allure curatissima e formale degli anni Cinquanta, ma già la forma a trapezio dice la forza della geometria, la pulizia di linea, la nettezza e la profondità del tratto che dal disegno si proietta sulla stoffa (nel film si vede la stessa cosa serbata in alcuni video d’epoca: Yves che disegna con una sicurezza impressionante), che saranno suoi, e saranno tutta un’epoca.

YSL ha creato abiti sull’unità di misura di personalità irripetibili: la mise da torero di Paloma Picasso, la giacca translucente e aggressiva di Diana Vreeland, il bicolore calcolatissimo di Grace Kelly, il principe di Galles androgino di Charlotte Rampling: ma chi ha incarnato compiutamente il suo stile è Catherine Deneuve, che qualche anno fa, per la favolosa, indimenticabile mostra al Petit Palais ha prestato abiti, scarpe e accessori della sua collezione personale (un paradiso per i feticisti). In Belle de jour la Deneuve è quegli abiti, le linee diritte e stagliate, il decoro alto-borghese e qualcosa di impercettibilmente seduttivo che fa pensare continuamente a ciò che gli abiti celano: nel film di Buñuel, le perversioni masochistiche di Séverine, le ossessioni sessuali del suo mondo onirico. Come dice la Deneuve, gli abiti di Saint Laurent vanno portati sul corpo nudo, per apprezzarli, per sentirli dai due lati, l’esterno e l’interno.

Di quella mostra (credo fosse il 2010) ricordo centinaia di abiti, documentari, spezzoni di meravigliose e introvabili pubblicità degli anni Sessanta e Settanta, un’intera parete nera su cui spiccava il nero del capo fetish per eccellenza di Saint Laurent, lo smoking (declinato persino in smoking bermuda); le collezioni “maschili” come supremazia sessuale e caratteriale della donna, che veste pantaloni dalla piega perfetta e doppio petto gessati, con la cravatta à pois: la donna di Helmut Newton, sprezzante, inarrivabile, orgogliosa. E infatti c’erano molte foto di Newton in mostra, con quelle di Klein, di Sieff, di Penn. Il film di Lespert rievoca quella parata di meraviglie che vidi a Parigi, le collezioni ispirate alle Pleiadi interiori del couturier, i turbanti delle serie orientali e russe che vengono dal mondo di Diaghileff e di Bakst, gli omaggi virtuosistici a Mondrian e a van Gogh; il gesto devozionale per Elsa Schiaparelli, da parte di un uomo che alla domanda “chi è il più grande personaggio storico di tutti i i tempi?” rispondeva “Mademoiselle Chanel”. Dietro ogni abito di Yves, fuso con la sua forza, con la sua sfacciata capacità di concepire la donna proiettata in avanti, verso regole da dettare anziché adeguarvisi, c’è un patrimonio culturale immenso di cui fanno parte, visibilissimi e protettivi, Proust, Wagner, la Callas, Vermeer, Arletty, Ludwig II, le suggestioni più disparate, il Walhalla dentro il quale si officia un culto rigorosissimo perché se ne sprigionino la velocità, l’energia, l’alterigia seduttiva, e soprattutto l’appeal sessuale, che nessun sarto ha mai sfoderato con l’eleganza di Yves Saint Laurent, della donna moderna.

La quale donna moderna elegante… esiste ancora? Sì, dispersa in una folla cenciosa e ributtante esiste, grazie a disciplina, indipendenza, rispetto di sé e cultura. La settimana scorsa a Parigi ho fotografato almeno una trentina di queste snelle e vivaci sentinelle del buon gusto: una usciva da una panetteria, una faceva la fila per vedere una mostra, una andava contro vento in bicicletta… Belle, eleganti, curiose, piene di interessi, e grazie al Cielo femminili. Come minuscole divinità orientali, come magiche Tanith di città, esse irradiano ancora la propria luce, intoccabili dalle straccione in magliette, felpe, pigiami, crocs, sneakers, flip-flop e tutto ciò che si accompagna al tour di Torre Eiffel, Gioconda e Disneyland, di corsa e mangiando un hot dog di traverso con la senape che cola.