Francesco Maria Colombo

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Una gara di sguaiataggini - Francesco Maria Colombo
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Una gara di sguaiataggini

A dire le cose come stanno, io esecro molte posizioni della Chiesa, penso che sia rappresentata da esponenti con una caratura intellettuale modestissima, trovo insopportabili le sue ingerenze nella gestione della cosa pubblica (soprattutto quanto all’eutanasia e al matrimonio fra omosessuali), e so, come tutti, che per moltissimi anni si è tollerato criminosamente l’orrore dei preti pedofili.

Detto questo, ho una forte simpatia umana e un enorme rispetto per il Pontefice che oggi si è dimesso. La simpatia va alla sua dignità ma anche alla sua sottile ironia, alla sua timidezza che non toglie nulla alla sua autorità; al suo essere se stesso indipendentemente da quel che faccia piacere agli altri: e anche alla sua umiltà, virtù nella quale il predecessore polacco non mi pare che eccellesse. Il rispetto va al fatto che il Papa ha difeso il nucleo dogmatico della dottrina cattolica e la visione antropologica che ne discende con una chiarezza, una trasparenza, un prestigio intellettuale straordinari. Io non mi riconosco in quella dottrina, ma non mi permetterei mai di liquidarla superficialmente o di considerarla espressione di un “ritardo” culturale. Bernard-Henri Lévy, che si può dire tutto ma non cattolico, ha definito Benedetto XVI il più strenuo difensore di un profilo della civiltà occidentale che è oggi minacciato. Nessun altro, nell’Occidente dominato dal complesso della colpa d’essere se stesso, ha avuto l’orgoglio che ha sfoderato il Papa nel discorso di Ratisbona di qualche anno fa.

Le dimissioni del Papa mi hanno turbato, perché immagino quale sia la sua sofferenza di vecchio. In questo gesto di resa vedo una forza straordinaria, un’indipendenza luminosa, un carisma senza pari. Ci vuole un’umiltà immensa ma anche un coraggio immenso per dire, davanti a tutto il mondo: “Non sono più in grado di compiere bene il mio ministero”. Questo è un uomo, in mezzo a tanti quaquaraquà.

Ho tremila amici su Facebook e ho letto centinaia di commenti: “Ce lo siamo levati dalle palle” è forse il più innocente e gentile. Vedo l’astio, il risentimento, la frustrazione, la piccineria accendere una girandola infinita di spiritosaggini, battutine a buon mercato, giochi di parole, fotomontaggi, apprezzamenti da caserma, risate crasse, volgarità e spesso ingiurie. In questo momento facebook ne è pieno.  No: il garbo, la proprietà dei modi, la pietas e il rispetto (anche il rispetto per un nemico, tanto più quando si arrende) sono un fatto di civiltà. Io prendo le distanze: tutto ciò è troppo cheap, troppo banale, troppo berlusconiano. Le dimissioni del Papa mi insegnano quanto può essere dignitosa e alta la sconfitta di un uomo, e mi insegnano anche che il nostro livello culturale e intellettuale e il nostro grado di civiltà sono gli stessi per i quali il Berlusconi e i suoi compari non sono un caso, non sono un accidente: sono l’espressione di questo popolo cialtrone. Prendere in giro il Papa e ingiuriarlo in questo momento è un gesto, oltreché canagliesco e meschino, equivalente al senso di rispetto che Berlusconi mostra verso la signora che fa il proprio lavoro e che deve sorbirsi apprezzamenti sessuali di fronte a una platea che ride; e all’eleganza di Bossi quando alza il dito medio. Nel momento in cui destiniamo al Papa dimissionario l’oltraggio e l’insolenza, noi siamo come Berlusconi e Bossi, noi siamo Berlusconi e Bossi. Quello è lo stile, e lo stile è la persona.

So di essere in minoranza (lo sono in tutto, del resto) ma mi dissocio. Ci sono momenti in cui dimostrare di non essere dei Berlusconi o dei Bossi fatti in serie è un dovere: verso noi stessi, verso chi è esposto alle contumelie, e verso l’arte dell’umorismo, che senza una disciplina severissima non è altro che lazzo sguaiato.