
Weissenberg
Non ho mai capito perché Alexis Weissenberg sia snobbato da molti connaisseurs… Freddo, metallico, disumano, distaccato sono aggettivi che ricorrono spesso quando si parla di lui. Eppure è uno dei pochi pianisti ai quali ritorno sempre e che sempre mi insegnano qualcosa: non solo: ma che mi evocano qualcosa. L’attacco della fuga, in questa registrazione, mi fa sentire tutta un’aura della cultura internazionale dove si mescolano la Landowska, Karajan, il design degli anni Sessanta, la mia memoria di com’era il pubblico nelle sale da concerto quarant’anni fa, la qualità dell’aria, la grana delle pellicole fotografiche di allora, i grandi alberghi sui laghi svizzeri o a St Moritz; il tempo in cui era consueto ascoltare Weissenberg, il mio incontro con lui una sera a Salisburgo, per caso, e la conversazione che scambiai (era un uomo elegantissimo e, come dire?, conservava una grand manner oggi scomparsa); ed anche la moda di allora, le macchine sportive di allora, e il suo coraggio (in un mondo dove tutti i musicisti gay “dovevano” sposarsi: lo fecero persino Horowitz e Cherkassky!) di non nascondere la propria omosessualità. Non so dire perché, ma io sento tutte queste cose in questa esecuzione, e non me ne importa nulla se Alexis Weissenberg fosse freddo e metallico: a me fa baluginare un’aura di storia e di civiltà che mi è carissima: e gli sono affezionato.