Francesco Maria Colombo

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Bilitis - I. - Francesco Maria Colombo
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Bilitis – I.

Intanto, qualche punto fermo. Les Chansons de Bilitis (1894) sono un piccolo capolavoro della letteratura francese nel quale si “ricrea” l’opera di un’immaginaria poetessa greca, Bilitis, contemporanea di Saffo. Pierre Louÿs ne dà una stringata biografia e ne “traduce” l’opera poetica in tre fasi che ne seguono la vita: l’infanzia nella Panfilia e le prime esperienze erotiche; lo sbocciare dell’amore, soprattutto lesbico, a Mitilene; e la fioritura delle arti dell’amore in Bilitis cortigiana sull’isola di Cipro. E’ dunque il racconto di un’iniziazione ma soprattutto un leggerissimo e raffinatissimo esercizio di stile: il momento della supremazia dell’arte sulla vita (che Bilitis non ha mai, infatti, vissuta), a contatto con una materia incandescente.

Molti anni dopo la pubblicazione delle liriche di Bilitis, Pierre Louÿs compose un album segreto della stessa Bilitis, le Chansons secrètes, di contenuto più esplicito. Delle originarie Chansons de Bilitis esistono diverse traduzioni in italiano, anche se nessuna, mi pare, è al momento disponibile sul mercato. Delle Chansons secrètes il pubblico italiano non trova invece nulla, e non mi risulta che siano mai state tradotte nella loro interezza (alcune delle Chansons esoteriche coincidono per qualche verso con le Chansons essoteriche, ma poi se ne distaccano).

Provo dunque a tradurle io sistematicamente. Si tratta di poemetti in prosa nei quali ritmo e metro rigorosi sono celati sotto un’apparenza di fluidità narrativa. La prima parte si intitola Bucoliques en Pamphilie.

I.

Je me suis baignée seule dans la rivière de la forêt. Sans doute je faisais peur aux naïades car je les devinais à peine et de très loin, sous l’eau obscure.

Je les ai appelées. Pour leur ressembler tout à fait, j’ai tressé derrière ma nuque des iris noirs comme mes cheveux, avec des grappes de giroflées jaunes.

D’un nénuphar planté en moi je me suis fait une vulve fleurie, et pour la voir je soulevais mes seins en penchent mollement la tête.

Et j’appelais: “Naïades ! Naïades ! jouez avec moi, soyez bonnes”. Mais les naïades sont transparentes, et peut-être, sans le savoir, j’ai caressé leurs bras légers.

***

I.

Sola mi sono bagnata nel fiume
del bosco. Nell’acqua oscura ho turbate
le Naiadi remote: le scorgevo
colà, visibili a stento.

Le chiamai. Per farmi simile a loro
ho intrecciato sulla nuca degli iris
neri come ho i capelli, con dei gialli
grappoli di violaciocche.

Di una ninfea che mi sono ficcata
ho infiorata la vulva: e per guardarla
di sopra i seni rialzati inclinavo
molle il capo ricadente.

E chiamavo: “Naiadi, con me al gioco!
Naiadi, siate buone!” Ma son quelle
diafane, forse è senza saperlo che
ne sfiorai le braccia lievi.

(La foto è di Ellen von Unwerth)