Francesco Maria Colombo

Direct e-mail
fmcolombo@fastwebnet.it

Music contacts
Filippo Anselmi
Piper Anselmi Artists Management
777 Westchester Avenue
White Plains, NY 10604
Telephone: 212-531-1514
www.piperanselmi.com

Photo contacts
Elbie Lebrecht
Lebrecht Music & Arts
3 Bolton Road
London
NW8 0RJ
020 7625 5341
USA toll-free 1-866-833-1793
pictures@lebrecht.co.uk

Homepage photo credits
Photo: © Elio Di Pace
Blog: © Miriam De Nicolò
Music: © Oskar Cecere

Wordpress customized by Venti caratteruzzi

Archives

Douce France - Francesco Maria Colombo
711
post-template-default,single,single-post,postid-711,single-format-standard,qode-core-1.0.1,ajax_fade,page_not_loaded,,capri-ver-1.5, vertical_menu_with_scroll,smooth_scroll,side_menu_slide_with_content,width_270,grid_1300,blog_installed,wpb-js-composer js-comp-ver-4.12,vc_responsive

Douce France

Da domani torno con Vittoria (per ciascuno l’amore ha un nome: per me è questo) in Francia. Un anno senza un’immersione nella douce France è per me invivibile. Tornare lì è un modo per ritrovare me stesso.

Come Picasso, anch’io vado a periodi. La prima grande passione è stata la Germania, fra i quindici e i vent’anni: Goethe e Thomas Mann, Beethoven e Brahms, l’aria minerale e salina di Travemünde, i sentieri nella Foresta Nera, Caspar David Friedrich, ma anche le iniziazioni sentimentali e sessuali, i primi corpi inastati e biondi delle tedesche che prendevano il sole nude nell’Englischer Garten, e che era così facile accostare; il mio volto premuto fra i piccoli seni di Anja, una ballerina della Staatsoper di Monaco, le indimenticabili felicità sensuali e le esaltate solitudini dell’adolescenza.

Poi l’America: la qualità della luce di cui diceva Matisse, l'”infinito” della luce e la sua risonanza di quarzo nella vastità dei cieli americani; lo schiaffo di vitalità di New York e lo stupore dei grattacieli di notte; Cole Porter e Pollock; le resistenze pudìche e poi l’arrendevolezza selvatica delle ragazze… e Scott Fitzgerald e Willa Cather e Truman Capote e…

Alla Francia sono arrivato più tardi. Da bambino ero stato a Parigi e a Nizza, a sedici anni avevo letto per la prima volta la Recherche (l’ho letta altre quattro volte, dopo di allora). Ma il primo vero viaggio in Francia è stato nel ’92, a 26 anni: il primo vero viaggio con la donna amata, la prima immersione in Maupassant, in Flaubert, persino in Sue. E’ stato amore folle, e da allora ho scoperto due cose: la prima è che tutte le altre civiltà si amano col cuore e con l’intelletto e con la sensibilità, ma la Francia si ama con i sensi; la seconda è che Parigi non è la Francia, o almeno non è la “mia” Francia. Mœurs de province è il sottotitolo di Madame Bovary, e la “mia” Francia è la provincia. A Parigi sono stato centinaia di volte ma non ho mai provato quella stretta, quel magone eccitato e felice, quell’abbandono, quel aprirsi e tendersi di tutti i pori della pelle che mi danno i borghi della provincia, le case dal tetto di ardesia e coi comignoli di mattone della Turenna, i caffè di paese dove si mesce l’anice su banconi degli anni Sessanta, le chiese malandate dove il muschio ricopre i mascheroni del gotico fiammeggiante, la prigrizia, la lentezza della luce, la cadenza larga, la volgarità sana e innocente, la banalità senza storia e dalle mille storie (e, d’improvviso, gli squarci di storia: un arazzo, un castello fra gli acquitrini, un chiostro fuori dal mondo e la sua musica delle sfere) della provincia francese. La provincia dei personaggi di George Sand, di Balzac e Maupassant, la provincia dei delitti più efferati raccontati da Mauriac e da Chabrol…

La Francia ufficiale è parchi e castelli e cattedrali, ma la “mia” Francia è quella dei paesini qualunque, delle strade come mille, delle case anonime: il colore della pietra stagionata, le porte verniciate e screpolate, le tubature esterne ossidate e sghembe. Dire Francia mi fa pensare alle foglie che marciscono in autunno, ai corsi d’acqua stagnanti nei giardini, a grandi libagioni con il paleron de boeuf, ai vini che legano la bocca in una polta pesante, alle tappezzerie lise a fiori campagnoli, al rintocco ottuso e struggente delle campane, al fumo greve della pipa, alle pentole di rame nelle cucine, ai cieli che sembrano rovesciare la nuvolaglia ma la trattengono all’infinito, ai volti dei vecchi che giocano a carte nei bar, alle ragazze che servono le crêpes nei posti da due soldi, e le cui forme scoppiano di sotto il grembiule: ciascuna di loro è un lys dans la vallée

(La foto è di Raymond Depardon)