Francesco Maria Colombo

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Glamour per tutti - Francesco Maria Colombo
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Glamour per tutti

Mettiamo in share la modella?

Così dice l’ultimo invito che ho ricevuto, ultimo di infiniti altri. Invito a un “evento” in una “suggestiva cornice” dove si terrà un “workshop” che ha per tema il “ritratto” in particolare “glamour” e specificatamente “erotico” ma “con eleganza”, insieme con una “top model” “bellissima” che poserà “nuda o seminuda” per i “partecipanti”, i quali sono gentilmente pagati di iscriversi dietro pagamento di etc etc…

Su Facebook ogni giorno arrivano parecchi inviti identici a questo. Ha senso? Qual è il senso? C’è un senso che non sia il doppio senso di pagare per vedere (anzi, vige il “vedo non vedo”) un po’ di coscia insieme a 10/15 altri “partecipanti”?

Per me no. Con tutto il rispetto per fotoamatori e modelle (del resto io faccio soprattutto un altro mestiere), questi obiettivi puntati tutti insieme, questo arrivare e fare il gruppone della domenica, effondono una mestizia infinita. Come si può immaginare di cogliere qualcosa della modella (uno sguardo, un’intenzione, l’indizio di una personalità, tutte quelle cose che fanno l’erotismo infinitamente più delle belle forme, di cui si accontentano i maschi sprovveduti) quando si scatta tutti insieme appassionatamente una ragazza senza sapere chi è, senza l’intimità di una connessione, senza i segreti che fotografo e modella si scambiano e in assenza dei quali la foto non riesce? Come si può dire l’unicità, l’individuazione, i dubbi, le paure, gli slanci di una donna in mezzo alle apparecchiature fotografiche e all’ansimare degli altri “arrapèti” (come dice il mio mito Lino Banfi)? Cosa si può imparare se manca la cosa fondamentale per la quale un ritratto funziona, e cioè il rapporto di seduzione reciproca fra chi ritrae e chi viene ritratto?

Perché questo e non altro è vero: senza quel processo seduttivo che non sta nemmeno nelle intenzioni ma vive di vita propria (a me è capitato di sperimentarlo nei modi più diversi con le persone più diverse, non solo con le attrici più giovani e belle ma anche con il centotreenne Gillo Dorfles o con Margherita Hack o con Dario Fo) la foto muore: oppure è altra cosa (foto di moda, non ritratto, non indagine sul mistero dell’eros). E senza il giusto spazio, il tempo, il silenzio, le parole e le intese non dette, la fiducia, l’abbandono, senza tutte queste cose non c’è niente da fare, si metteranno bene o male le luci ma non si coglierà mai l’interiorità di una creatura. Infine un paradosso: pagare una modella (la quale fa naturalmente benissimo a farsi pagare secondo la propria professionalità: ci sono generi fotografici che senza la modella non possono esistere) instaura un rapporto dove il processo seduttivo è viziato all’origine. Io non amo la parola anima, ma che senso ha pagare l’esibizione del corpo quando mancano i presupposti (o il desiderio) di ritrarre l’anima?

(La foto, sublime, è di Jean-Loup Sieff, per me il fotografo che ha catturato più di ogni altro il mistero, la grazia, l’erotismo, la fragilità, la bellezza della donna)