Une femme française
Une femme française, con la femme française per eccellenza, e cioè Emmanuelle Béart nel pieno del suo splendore (1994), è il ritratto della madre del regista, Régis Wargnier, moglie di un militare di carriera (il film va dal 1944 alla fine degli anni Cinquanta) che la lascia spesso sola, incapace di vivere senza l’abbraccio degli uomini, un po’ pazza, molto irresponsabile, infinitamente seduttiva: un’altra lost lady di quelle senza le quali la nostra vita (Mozart e Watteau compresi) non avrebbe alcun senso.
Gli attori (con la Béart ci sono il grande Daniel Auteuil, all’epoca suo marito, e Gabriel Barylli) recitano tutti un poco sotto le loro capacità perché il regista, diciamo così, non è Michel Deville (che in Italia nessuno conosce ma che si mangia tutti i Godard e i Truffaut). La scena più bella è la citazione del ballo sfrenato di Marylee Hadley, la ninfomane di Written on the Wind, capolavoro di Sirk (1956), la spettacolare Dorothy Malone.
Ma basta la bellezza della Béart e quel che di sfatto, di corrotto e di torbido e di sporco che sempre la accompagna, anche quando è elegante e composta. Le donne così trasformano la nostra vita, perché non solo sono belle (ecco: questa è una bella donna; nel nostro sciagurato Paese c’è persino chi trova attraente una Ruby o una Minetti, che tristezza!) ma irradiano intorno a sé una vernice smaltata e luminosa che trasforma la realtà intera.