Francesco Maria Colombo

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Hope Springs - Francesco Maria Colombo
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Hope Springs

Persino con due attori fantastici come Meryl Streep e Tommy Lee Jones, l’ultima commediola americana, Hope Springs, è di una modestia, di una banalità, di una noia smisurate. Già mi è difficile reggere il tema “la coppia in crisi” quando il regista è Mizoguchi o Bergman o Malle, figurarsi in questo campionario dei luoghi comuni accumulati dopo 30 anni di matrimonio dalla più ordinaria coppia possibile (la passione si è spenta, lui non la carezza più ma vuole “it”, lei dice che non c’è comunicazione e lui non la capisce, il regalo per l’avversario di nozze è un nuovo scaldabagno e così via). Si tenta di rimediare quando lei (naturalmente lei) ha la malsana idea di rivolgersi allo specialista in terapia della coppia. Il dottor Feld li riceve nella cittadina del Maine da cui il film prende il titolo, li fa parlare, dà i compiti a casa tipo l’intimità fisica per gradi, li fa litigare e ritrovarsi… Bah…

Non si capisce nemmeno se è un film in sé (si stenta a credere che Meryl Streep abbia potuto scegliere un copione così bolso) o se è un meta-film su certe codificazioni sociali e culturali della civiltà americana, dove tutti parlano e agiscono secondo standard invisibili quanto ineludibili (per esempio: se a qualcuno muore il gatto la vicina dirà sempre “Oh I’m sooo sorry” con la faccia un po’ contrita e un po’ inclinata, e con una vaga marezzatura di sorriso rassicurante: in qualsiasi Stato dell’America ci si trovi,  qualunque ora del giorno, qualunque età abbiano il qualcuno, il gatto e la vicina. Se invece muore il padre o la madre la vicina dirà “I’m really, really sorry”, senza “Oh” iniziale, e la marezzatura di sorriso rassicurante scomparirà. Ho passato troppi anni della mia vita negli Stati Uniti per non accorgermi di questi schemi comportamentali invariabili, dove l’individuo non deve permettersi di entrare in gioco).

Detto ciò, io ho avuto il mio buon numero di sciagure nella vita: ma ho avuto la fortuna di vivere come se tutte queste dinamiche negative della coppia non esistessero. Come se i termini coppia e problema appartenessero a galassie remotissime fra loro. Io torno dal Brasile dopo tre settimane, e quando rivedo la donna che amo ho una stretta al cuore e uno squarcio di felicità più forti di quando me ne sono innamorato, 22 anni fa. Perché questo? Guai a dare ricette, parlo solo per me: se oggi quel che provo è una così luminosa felicità, molto si deve a una sostanziale e tenace indipendenza, priva di rimpianti.

Inoltre credo sempre più che avesse ragione Sándor Márai in quella bellissima pagina sul matrimonio contenuta nel suo libro migliore, Confessioni di un borghese (1935): “I matrimoni sono quasi sempre delle mésalliances. I coniugi stessi ignorano che cosa abbia finito per dividerli con il passare del tempo. Non sapranno mai che l’odio latente che pervade la loro convivenza non è dovuto soltanto al fallimento dei rapporti sessuali, ma più semplicemente a un particolare antagonismo di classe. Vagano per decenni sulle distese di ghiaccio della noia e dell’abitudine e intanto si odiano, si odiano perché uno dei due è più distinto dell’altro, perché ha ricevuto un’educazione più raffinata e tiene il coltello e la forchetta in maniera più elegante, o perché ha conservato lo spirito di casta inculcatogli sin dall’infanzia. Quando il legame sentimentale si allenta, allora non tarda a scoppiare la lotta di classe tra due persone che dormono nello stesso letto, si servono dallo stesso vassoio, e, il più delle volte, non si rendono minimamente conto di che cosa le spinga a covare quel sordo rancore, mentre in apparenza la loro vita scorre tranquilla e serena”.