Felicità che cade
Pochi minuti prima delle 6, questa sera.
Infilo un cappotto beige doppiopetto, senza sciarpa, rialzo il bavero e faccio quattro passi per Milano. Un’ora toccata dalla grazia: l’aria che trascolora dall’azzurro al nero, la chiarità, più su, delle prime stelle; l’avvisaglia, o insinuazione, o disperante cenno d’intesa, dell’autunno che ci abbraccia (e già il profumo caldo, e le mille promesse). Le luci si accendono all’interno dei palazzi; si infittiscono le ombre nei malchiusi cortili – nulla più di logoro o di spoglio: la città si ammanta per il proprio gala vespertino, e il mio passo non conosce più peso.
Sono pochi istanti, non presagiti e non cercati: frazioni di secondo che si stipano di ricordi, di analogie, di frammenti percettivi sciamanti qui, nell’incanto presente, da tutte le plaghe sfiorate nella vita: sere lontane che in questa vivono e si animano della loro ingannevole bellezza. L’ultima luce calante incalzata dall’oscurità e da tutte le sue eccitate, disperate follie.
La mia vita è, sì, costruzione e progetto e perseguimento: e voci nuove la chiamano e la sospingono a rivelarsi. E’ fatica e tenacia e volontà di possedere. Ma basta un istante come questo perché ogni cosa scivoli via in un’estasi verde-oro, fluttuante e rapinosa: piu alta di tutti i desideri: e di quelli, che questa ricordano, scaturigine e causa finale.
Und wir, die an steigendes Glück
denken, empfänden die Rührung,
die uns beinah bestürzt,
wenn ein Glückliches fällt.
(E noi che pensiamo la felicità
come un’ascesa, ne avremmo l’emozione
quasi sconcertante
di quando cosa ch’è felice, cade)
(Rainer Maria Rilke, Duineser Elegien. Die zehnte Elegie)
(La foto è di André Kertész, cui nessuno è pari)