Francesco Maria Colombo

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Il fiume e il tempo - Francesco Maria Colombo
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Il fiume e il tempo

Quando un film si prende tante recensioni tiepide, di solito ha le caratteristiche per piacermi. Questo Genius di Michael Grandage, che è adesso nelle sale italiane, è così: un film non brillante, non spettacolare, nemmeno troppo carico di sentimentalità, eppure un film che a me è piaciuto molto e che merita di essere visto.

La storia è cara a tutti noi che abbiamo amato Thomas Wolfe (1900-1938) e la sua prosa di una magnitudo tale da far scoppiare tutti i sismografi. Wolfe era tutto troppo, come talento, come figura fisica (era alto 1 metro e 98), come disordine vitale, come quantità e violenza lirica della scrittura. E’ morto giovane, ha lasciato tre o quattro capolavori che vanno letti quando si hanno vent’anni, per non dimenticarseli più: e insomma le ha tutte perché si faccia un film efficace su di lui (ma la stessa cosa potrebbe esser detta per tanti scrittori americani oltre a Fitzgerald e a Hemingway: Dos Passos, Fante, Chandler, Hammett, la Hellman… e qualche volta la cosa è andata in porto).

Ma il film non è su Thomas Wolfe. E’ sul suo editor da Scribner’s, a New York: l’uomo che per primo gli ha dato fiducia e ha reso possibile la pubblicazione dei suoi libri, con un successo straordinario fin dal debutto. L’editor è l’uomo nell’ombra, l’uomo che fa scivolare il suo genius sotto il genius degli altri. E’ il contrappeso razionale alla follia di chi scrive: ma che ci sia un contrappeso razionale alla follia di chi scrive è in sé un’ulteriore attestazione di follia.

Il film è dunque dedicato a Max Perkins (1884-1947), ed è la storia di un’amicizia virile sofferta, drammatica, tale da risucchiare nelle proprie dinamiche, finalizzate alla creazione, ogni altra energia. Con scapito della famiglia dell’editor e della compagna di Wolfe, che arriverà a un passo del suicidio. Ed è anche la storia della ricerca di un padre (tema che nella narrativa di Wolfe è fondamentale) e della ricerca del figlio maschio (Perkins aveva cinque figlie femmine, graziose e simpatiche a giudicare dal film).

Amicizia che ha la scrittura come causa finale? Per gran parte del film è così, ma da un certo punto in poi la scrittura diventa insensibilmente il propulsore dell’amicizia stessa, che torna ad essere la vera protagonista. Questo è un passaggio molto sottile, che sottende enormi temi (vale di più l’opera compiuta a costo della vita, o l’autenticità della vita a costo dell’opera?), ed è a mio parere il centro tematico del film, sfuggito a molti recensori. Tutto questo non ha bisogno di show, colpi di scena, eccessi emotivi: è invece un tema che agisce in profondità, persuasivamente, e la fotografia bellissima, tutta in colori desaturati e controluce, lo serve perfettamente. Ci sono quattro eccellenti attori: Colin Firth come Max Perkins, Jude Law che non sarà alto 1,98 ma mette una certa disperata vitalità nel personaggio dello scrittore, Nicole Kidman e Laura Linney. E c’è una scena finale dove Max Perkins fa un gesto che abbiamo aspettato per tutto il film, che pensavamo non arrivasse mai, e che invece arriva, per pochi secondi, e spiega ogni cosa.