Mister Karenin
Stasera col mio amore abbiamo guardato in bluray Anna Karenina di Joe Wright, dal vecchio caro Conte Tolstoj per la mediazione di Tom Stoppard che ha scritto la sceneggiatura. In Italia uscirà il 21 febbraio. Anna Karenina dovrebbe essere una storia triste e tragica, se mi ricordo bene, ma noi non abbiamo potuto evitare molte risate, perché il film è un flop sesquipedale, nonostante due elementi di grande pregio.
Uno, il più importante, è l’idea di inscenare l’intero romanzo in un teatro piuttosto délabré, che accoglie ogni cosa, uffici della burocrazia zarista e ippodromi, saloni da ballo e interni domestici, squarciandosi però in ampie visioni en plein air di tanto in tanto, soprattutto quando si seguono le vicende di Levin e Kitty. Dunque una cornice anti-veristica per eccellenza, e movimenti stilizzatissimi, quasi mimici, improvvisi stop alla recitazione, gesti ripetuti serialmente: va in scena Anna Karenina, un classico così classico da poter guardare se stesso su un palcoscenico e distanziarsi emotivamente. L’idea non è male.
Ma qui tutto crolla, perché la storia dentro l’interessante cornice è il più melassoso e moscio plot di telenovela mai visto. La solita svitata che si innamora del belloccio (tale?), si mette contro la società (che non è una società ma una congrega di macchiette) e finisce, come fanno tutte le svitate facili a perder la testa, con l’essere la peggiore rompiballe. La figura angelica di Kitty. Il fratello di Anna guadente e paradossale. I militari sbevazzoni. La gente a teatro che muove il ventaglio come accade solo nei film poco curati. Dio che pena! E che ridere, perché Vronskij sembra un putto palermitano del Serpotta, l’amica di Karenin è russa come solo Emily Watson può esserlo, l’evocazione dell’ambiente non ci fa mai supporre di essere altrove che nel Surrey, tutti recitano con un accento british implacabile, e la povera Keira Knightley recita con una goffaggine per la quale sembra mettercela tutta. Era difficile far peggio di Sophie Marceau nell’Anna Karenina del 1997, ma Keira dall’arco dentale inferiore sfortunato c’è riuscita.
Quanto ai costumi, sono i peggiori che io abbia mai visto in un film storico di questo impegno produttivo. Cappellini men che Harrods, preziosi gioielli Chanel che, sotto quelle luci, si mutano in bigiotteria all’ingrosso, tagli abominevoli (il vestito di Anna quando va a teatro per l’ultima volta è più brutto delle orribili mises da sposa che ho fotografato a San Pietroburgo l’anno scorso), e colori atroci. Pensare che il divino Piero Tosi è vivo, è vegeto, insegna e lotta con noi, e guardare questo scempio, fa capire come al pubblico e ai critici, diseducati da anni di soap-opera, si può dare in pasto qualsiasi cosa, tanto non capiscono niente. E infatti la costumista ha avuto la nomination all’Oscar!
Qual è il secondo merito del film? E’ il fatto che Jude Law, il quale coraggiosamente incarna questa volta il brutto e antipatico signor Karenin, è un attore talmente anni luce sopra gli altri da spostare il baricentro della vicenda sulla figura del marito tradito, del Bovary della situazione. E ne esce un personaggio complesso e credibile: con la sua fierezza, il suo rigore ma anche la sua pietà, il suo amore per Anna nonostante tutto e il suo desiderio di salvare lei (più che se stesso) dalla disfatta sociale. Grazie a lui, si arriva alla fatidica scena del treno (e al finalino successivo: l’ultimo a comparire è proprio lui) senza fermare, nonostante tutto, il bluray.