Francesco Maria Colombo

Direct e-mail
fmcolombo@fastwebnet.it

Music contacts
Filippo Anselmi
Piper Anselmi Artists Management
777 Westchester Avenue
White Plains, NY 10604
Telephone: 212-531-1514
www.piperanselmi.com

Photo contacts
Elbie Lebrecht
Lebrecht Music & Arts
3 Bolton Road
London
NW8 0RJ
020 7625 5341
USA toll-free 1-866-833-1793
pictures@lebrecht.co.uk

Homepage photo credits
Photo: © Elio Di Pace
Blog: © Miriam De Nicolò
Music: © Oskar Cecere

Wordpress customized by Venti caratteruzzi

Archives

Play It Again, Jasmine - Francesco Maria Colombo
1160
post-template-default,single,single-post,postid-1160,single-format-standard,qode-core-1.0.1,ajax_fade,page_not_loaded,,capri-ver-1.5, vertical_menu_with_scroll,smooth_scroll,side_menu_slide_with_content,width_270,grid_1300,blog_installed,wpb-js-composer js-comp-ver-4.12,vc_responsive

Play It Again, Jasmine

Blue Jasmine, l’ho visto stasera. Film di mostruosa bravura, recitato con mostruosa bravura non solo da Cate Blanchett ma da tutti. Però so che è un film che non amerò, che non entrerà nella mia vita come altri di Woody Allen, pur essendo forse il più bello di questa sua terza fase. Perché? Perché vengono meno tre cose che mi sono sempre parse la scaturigine e la causa finale del suo mondo poetico.

La prima è la pietas: è l’ammissione che questa unica occasione che abbiamo, la vita, è così insensata e futile da necessitare tutto il nostro impegno to make it up. Tutti i personaggi di Woody Allen hanno sempre incarnato questo sforzo, talvolta vincente più spesso deluso: forgiare la realtà sui nostri sogni. C’è in questo un’ingenuità, una dose di idealismo, un amore per chi resta indetro, uno sguardo addolcito per chi non ce la fa. In Blue Jasmine non v’è più la minima traccia di questa pietas. Ognuno segue il pattern nevrotico non più delle proprie illusioni ma della truffa: truffa come condizione esistenziale, truffa senza sbocco, senza senso, senza requie dalla coazione. Tutti truffano: è una truffa persino il nome della protagonista (una mia conoscente fece la stessa cosa: s’inventò un nome falso per il proprio social climbing, con sputtanamento inverecondo quando, a un passo dall’altare, dovette scoprirsi). E’ una truffa tutto ciò che fanno i protagonisti del film, consapevolmente o no: ed è un girone dantesco quello in cui vivono, sia pure pervaso da una certa French fragrance.

La seconda è il senso del tempo e del ricordo. Nonostante i continui flashback, è un film completamente al presente, tutto risolto nell’istante e nella vacuità dell’accadere qui ed ora, senza quel senso del rimemorare o del guardare in avanti, tutt’uno con la dolcezza dell’illusione, che c’è invece sempre nella filmografia di Allen. Questo càpita: it happens: càpita qui, ed è così duro da non postulare un passato o un futuro che al presente possano dare profondità di campo, plasticità, senso, aura. Ci sono, come spesso in Allen, due sorelle: ma il loro passato non esiste, il loro futuro non esisterà, tutto potrebbe ricominciare dalla scena conclusiva, all’infinito, come in una pièce di Ionesco. La natura di ogni progetto è quella di essere insieme falsa (una ricchezza costruita sulla frode, una somma vinta alla lotteria, la dimenticanza di citare il fatto che si è sposati alla ragazza con cui si esce…) e fallace, stolida e frustrante.

La terza (naturalmente in funzione di quel che sta sopra) è il cambiamento di tono e di linguaggio così radicale. E’ il film più à bout de souffle di Woody Allen, quello dal ritmo più ossessivamente scorciato, quello dove la camera sta attaccata all’epidermide dei personaggi, non li molla mai, non li compone mai in una scena d’insieme. L’insieme che è sempre stato il suggello della pietas e della funzione sanatrice della memoria nei film di Allen. Una scena come quella, di infinita pietas e nostalgia, che chiude Radio Days sarebbe impensabile in Blue Jasmine. Non c’è più spazio, non c’è più fluidità, non c’è più la souplesse alla Lubitsch che l’ultimo Allen gestiva con vertiginoso virtuosismo. Beninteso: è una scelta di registro, non uno smacco.

Conclusione? Non c’è, come non c’è nel film. Ed è l’unico film di Woody Allen in cui la colonna sonora non sia perfetta. Sotto l’inesorata pulsazione delle immagini si ascoltano gli scheletri di uno Scherzo di Sinfonia di Mahler, che provano a danzare per battere i denti. Ah, dimenticavo: un capolavoro.